DISTURBI

  • DISTURBI DEL SONNO

    Si dividono in quattro sezioni principali in base all’eziologia presunta: a) disturbi primari del sonno; b) disturbo del sonno correlato ad altri disturbo mentale; c) disturbo del sonno dovuto ad una condizione medica generale; d) disturbo del sonno indotto da sostanze.

    Disturbi primari del sonno

    Sono quelli non attribuibili ad alcuna delle eziologie sotto elencate (per es., un altro disturbo mentale, una condizione medica generale, o una sostanza). Si presume che i disturbi primari del sonno insorgano da anomalie endogene dei meccanismi di generazione o di regolazione del ritmo sonno-veglia, spesso complicate da fattori di condizionamento. I disturbi primari del sonno a loro volta sono suddivisi in dissonnie (caratterizzate da anomalie della quantità, della qualità o del ritmo del sonno) e parasonnie (caratterizzate da comportamenti anomali o da eventi fisiopatologici che si verificano durante il sonno, durante specifici stadi del sonno o nei passaggi sonno-veglia). Fanno parte delle parasonnie il bruxismo (digrignare i denti), gli incubi, la sindrome delle gambe senza riposo (costituita da prolungati movimenti involontari delle gambe che rendono difficile l’addormentamento), il sonnambulismo.

    Disturbo del sonno correlato ad altro disturbo mentale

    Implica un vissuto intenso di disturbo del sonno conseguente ad un disturbo mentale diagnosticabile (spesso un disturbo dell’umore o un disturbo d’ansia) ma sufficientemente grave da richiedere un’attenzione clinica indipendente. Presumibilmente i meccanismi fisiopatologici responsabili del disturbo mentale interessano anche la regolazione del ciclo sonno-veglia.

    Disturbo del sonno dovuto ad una condizione medica generale

    Implica un vissuto intenso di disturbo del sonno conseguente agli effetti fisiopatologici diretti di una condizione medica generale sul sistema sonno-veglia

    Disturbo del sonno indotto da sostanze

    Implica rilevanti vissuti di disturbo del sonno conseguenti all’uso concomitante, o alla recente interruzione dell’uso, di una sostanza (farmaci inclusi). Le valutazioni sistematiche condotte in soggetti che presentano rilevanti disturbi del sonno includono una valutazione dello specifico tipo di sofferenza del sonno ed un esame dei disturbi mentali, delle condizioni mediche generali, e dell’uso concomitante di sostanze (farmaci inclusi) che possano essere responsabili del disturbo del sonno.

    Stadi del sonno

    Mediante la polisonnografia possono essere descritti cinque distinti stadi del sonno: sonno con rapidi movimenti oculari (REM) e quattro stadi di sonno (stadi 1, 2, 3, e 4) non-REM (NREM). Lo stadio 1 NREM del sonno è un passaggio dalla veglia al sonno e occupa circa il 5% del tempo di sonno negli adulti sani. Lo stadio 2 NREM del sonno, che è caratterizzato da specifiche onde elettroencefalografiche (fusi del sonno e complessi K), occupa circa il 50% del tempo di sonno. Gli stadi 3 e 4 di sonno NREM (noti convenzionalmente anche come sonno ad onde-lente) sono i livelli più profondi di sonno, e occupano circa il 10-20% del tempo di sonno. Il sonno REM, durante il quale si verifica la maggior parte dei sogni tipici, simili a storie, occupa circa il 20-25% del sonno totale. Questi stadi del sonno hanno una caratteristica organizzazione temporale durante la notte. Gli stadi NREM 3 e 4 tendono a verificarsi fra il primo terzo e la metà della notte, e aumentano di durata in risposta alla deprivazione di sonno. Il sonno REM avviene ciclicamente durante tutta la notte, alternandosi con il sonno NREM ogni circa 80-100 minuti. I periodi di sonno REM si allungano verso il mattino. Il sonno dell’uomo varia pure in modo caratteristico lungo l’arco della vita. Dopo una relativa stabilità con grande abbondanza di sonno a onde-lente nell’infanzia e nella prima adolescenza, la continuità e la profondità del sonno si modificano durante il periodo dell’età adulta. Questa modificazione si riflette nell’incremento del tempo di veglia e dello stadio 1 del sonno, e nella diminuzione degli stadi 3 e 4. Per questo motivo, nella diagnosi di un disturbo del sonno, deve essere tenuta in considerazione l’età del soggetto preso in esame.

    Continuità del sonno

    Si riferisce al bilancio complessivo di sonno e veglia durante una notte di sonno. “Migliore “continuità del sonno indica sonno consolidato con pochi risvegli; “peggiore” continuità del sonno indica sonno interrotto con più risvegli. Specifiche misure della continuità del sonno comprendono: la latenza del sonno, cioè la quantità di tempo richiesto per addormentarsi (espressa in minuti); la veglia intermittente, cioè la quantità di tempo di veglia dopo l’insorgenza del sonno iniziale (espressa in minuti); e la efficienza del sonno, cioè il rapporto fra il tempo realmente trascorso dormendo e il tempo trascorso a letto (espresso come una percentuale, con i numeri maggiori che indicano una migliore continuità del sonno).

    Cause psicologiche alla base dell’insonnia

    Le ricerche dicono che necessitiamo di sei ore di sonno al giorno. La durata e la qualità del sonno variano comunque da individuo ad individuo e possono modificarsi lungo l’arco di vita sia in relazione all’età che a fattori ambientali, sociali ed emotivi. Un periodo di forte tensione, per es., può influire negativamente sul sonno  così come le convinzioni errate rispetto a quanto e come si dovrebbe dormire possono contribuire a tenere svegli. Proprio per questo, molte persone che soffrono di insonnia partono dal presupposto che si devono addormentare subito e non svegliarsi mai durante la notte e sperimentano una forte ansia se ciò accade. Ovviamente l’ansia rende difficile l’addormentamento. In realtà, chi dorme bene può impiegare un po’ di tempo ad addormentarsi e svegliarsi nel corso della notte. Se si dorme per diverso tempo un numero di ore inferiore al proprio bisogno ci si sente stanchi, affaticati, irritati, con difficoltà di memoria e di concentrazione. Ciò ha una ricaduta sia sull’umore che sulle attività quotidiane e le relazioni interpersonali.

    Come migliorare la qualità del sonno

    Se si soffre di insonnia o si dorme poco è utile seguire queste regole:

    • mettersi a letto solo quando si è assonnati;
    • se non si riesce a dormire è meglio alzarsi dal letto;
    • non mangiare in abbondanza prima di andare a dormire;
    • fare qualcosa di rilassante prima di coricarsi (per es., un bagno caldo);
    • non appisolarsi durante il giorno se si è dormito poco la notte;
    • andare a dormire e svegliarsi più o meno alla stessa ora tutti i giorni, anche nel fine settimana;
    • se capita di svegliarsi prima del suono della sveglia è utile alzarsi subito ed iniziare la giornata;
    • fare attività fisica regolare, soprattutto nel pomeriggio, ma non la sera
    • la sera non fumare né bere bibite alcoliche o contenenti caffeina
    • utilizzare la camera da letto solo per dormire la notte o l’intimità sessuale e non per altre attività (per es., vedere la televisione)
  • DISTURBI CORRELATI A USO DI ALCOOL E DI SOSTANZE

    Abuso e dipendenza da alcol

    Effetti ricercati: sensazione di ebbrezza, aumento della loquacità e della socievolezza, allegria. Rischi: gastriti, ulcere, epatiti, cirrosi, pancreatiti. Vi è anche un aumento del tasso di cancro all’esofago. Le neuropatie periferiche possono essere evidenziate da debolezza muscolare, parestesie e diminuzione della sensibilità periferica. Effetti più persistenti sul sistema nervoso centrale includono deficit cognitivi, gravi compromissioni della memoria e modificazioni degenerative del cervelletto. Questi effetti sono correlati a deficienze vitaminiche (particolarmente delle vitamine B, tra cui la tiamina) Si stima che l’alcol in Italia causi migliaia di decessi l’anno (tra cirrosi, tumori, incidenti stradali e suicidi). Produce dipendenza fisica e mentale, dopo un periodo di abuso prolungato (ma ci si arriva più facilmente di quanto si pensi). E’ possibile allora che già al mattino si avvertano sintomi di mancanza della sostanza, quali tremori alle mani e della lingua, crampi, nausea, ansia ed irritabilità. Questi sintomi scompaiono dopo l’assunzione di bevande alcoliche. L’astinenza alcolica può essere associata a nausea, vomito, gastrite, ematemesi, secchezza delle fauci, aspetto pastoso e macchie della pelle del viso, e lieve edema periferico. L’intossicazione alcolica grave, ripetuta, può anche ledere i meccanismi immunitari, predisporre i soggetti ad infezioni, ed aumentare il rischio di cancro.

    Abuso e dipendenza da oppioidi.

    Nella condizione di abuso si riscontra l’incapacità di ridurre o di interrompere l’uso di eroina/morfina assunta giornalmente da almeno un mese con conseguente stato di intossicazione continuata, con episodio di sovradosaggio e con compromissione delle attività sociali o professionali. Nella condizione di dipendenza subentra la tolleranza (necessità di aumentare le dosi della sostanza per avere lo stesso effetto o la diminuzione dell’effetto per dosi costanti) e l’astinenza (cioè lo sviluppo, dopo riduzione o cessazione dell’uso, di una sindrome caratterizzata da lacrimazione, rinorrea, midriasi, piloerezione, sudorazione, diarrea, sbadigli, ipertensione lieve, tachicardia, febbre e insonnia).

    Si possono comunque distinguere tossicodipendenti “reattivi” (spesso l’assunzione della droga è una risposta a problematiche di interazione sociale e familiare o di inserimento nel gruppo) e tossicodipendenti “autoterapici” (ricerca della sostanza come inconscio tentativo di autoterapia per disturbi psicopatologici preesistenti che dalla droga trarrebbero giovamento).

    Sul piano clinico si distinguono diverse fasi: a) stadio dell’incontro o della “luna di miele” in cui la somministrazione produce effetti particolarmente marcati verso il polo positivo della sensazione di benessere, con senso di calma, rilassatezza, euforia; si allontana l’ansia, la preoccupazione, ogni stato d’animo spiacevole; il soggetto non dimentica le ragioni soggettive della sua sofferenza, ma esse vengono svuotate di ogni contenuto affettivo e si fanno emozionalmente inerti; l’uso della sostanza è saltuario ed esiste la convinzione di poterla interrompere volontariamente; b) fase intermedia o delle dosi crescenti: a parità di dosi gli effetti euforigeni tendono a scomparire, mentre cominciano a farsi strada sintomi di segno opposto, legati alla sindrome di astinenza che si sviluppa parallelamente allo sviluppo della tolleranza (il soggetto deve aumentare la dose per sperimentare la sensazione di euforia); c) fase della “depravazione”: il polo euforico non è più raggiungibile e il soggetto oscilla fra una normalità sempre più difficile da ottenere e un sempre più grave malessere psicofisico della sindrome di astinenza; nei casi più gravi il soggetto è totalmente orientato con ogni mezzo, lecito o illecito, alla ricerca della sostanza; d) fase delle ripetute disintossicazioni o della “porta girevole”: si instaura la sensazione di inguaribilità ed è alto il rischio di overdose (diminuisce la tolleranza ed aumenta il craving verso la sostanza).

    I sintomi dell’overdose sono, dopo una brevissima eccitazione psicomotoria, uno stato di astenia profonda con sonnolenza e quindi coma; sul piano fisico depressione respiratoria, ipotensione arteriosa, aritmie cardiache, miosi. La terapia si basa sull’impiego del naloxone cloridrato sino alla ripresa della funzionalità respiratoria e dello stato di coscienza. Dal punto di vista della terapia si distinguono programmi di disintossicazione a breve termine (utilizzati nei casi di abuso qualora si manifestino segni di astinenza e nei casi di tossicodipendenza metabolica al di sotto dei due anni) e programmi a lungo termine, indicati nella dipendenza metabolica dopo il fallimento di ripetuti tentativi di disintossicazione. In questi programmi (da svolgersi in appositi centri) il primo obiettivo è quello di vincere l’ansia derivante dal timore di restare carenti di sostanza.

    Abuso e dipendenza da cocaina e sostanze amfetamino-simili

    La cocaina e le sostanze amfetamino-simili possono essere trattate insieme dato che la cocaina condivide le proprietà farmacologiche di due tipi di sostanza: infatti, è da una parte un potente anestetico locale (come lidocaina e procaina) e, dall’altra, uno stimolante delle funzioni psichiche e motorie come l’amfetamina.

    Per fare diagnosi di intossicazione da cocaina o amfetamina devono essere presenti entro un’ora dall’uso della sostanza, almeno due dei seguenti sintomi: a) agitazione psicomotoria; b) esaltazione del tono dell’umore; c) sentimenti di grandiosità; d) loquacità; e) stato di ipervigilanza. Insieme ai precedenti, devono essere presenti almeno due dei seguenti segni fisici: a) tachicardia; b) midriasi; c) ipertensione arteriosa; d) perspirazione o sensazione di freddo; e) nausea e vomito. Nei casi più gravi si può avere uno stato confusionale (delirium da cocaina) con sintomi psicotici, allucinazioni, comportamenti violenti e aggressivi.

    Abuso e dipendenza da barbiturici

    Nell’intossicazione acuta si ha torpore profondo fino al coma, depressione respiratoria, ipotensione arteriosa. Nell’intossicazione cronica si hanno disturbi mnestici, del giudizio, ideazione povera, improvvisi stati d’ansia e, non raramente, deliri ed allucinazioni. Si ha anche una sindrome di astinenza con ansia, irrequietezza, nausea, vomito, tachicardia e, nei casi più gravi, crisi epilettiche, stato confusionale ed allucinazioni visive.

    Abuso e dipendenza da LSD

    Gli effetti ricercati con l’assunzione sono le allucinazioni fantasmagoriche, caleidoscopiche, le sinestesie e si accompagnano a modificazioni dello stato di coscienza, stato di agitazione, crisi di angoscia; la tolleranza si instaura in breve tempo; l’intossicazione cronica è responsabile di disturbi mnesici, abulia, depressione e talora esperienze psicotiche.

    Abuso e dipendenza da cannabinoidi

    Fra i numerosi principi attivi della cannabis sativa, il più importante è il tetraidrocannabinolo. L’assunzione di cannabis procura uno stato di benessere e rilassamento seguito da sonnolenza. In alcuni casi si possono avere reazioni spiacevoli con senso di angoscia e di paura. La dipendenza è di tipo psichico e si verifica il fenomeno della tolleranza inversa cioè solo l’acquisizione di una maggior esperienza e dimestichezza e la riduzione del dosaggio permettono di apprezzare gli effetti piacevoli.

  • DISTURBI DELL'ADATTAMENTO

    Disturbi dell’adattamento

    Lo stress sembra produrre un eccitamento del sistema nervoso centrale (SNC), correlato con una diminuzione del GABA e incremento dell’attività monoaminergica (correlato clinico: ansia). Lo stress ripetuto produce un fenomeno di tolleranza (down-regulation) con diminuzione dell’attività dopaminergica e attivazione del sistema degli oppioidi endogeni (correlato clinico: demoralizzazione e inibizione del comportamento). Nello stress risulta coinvolto anche l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene con aumento dei livelli di catecolamine, ACTH, cortisolo, GH, prolattina, CRF e beta-endorfine e diminuzione di LH e testosterone.

    La caratteristica fondamentale di un disturbo dell’adattamento è una risposta psicologica ad uno o più fattori stressanti identificabili che conducono allo sviluppo di sintomi emotivi o comportamentali clinicamente significativi. I sintomi devono svilupparsi entro 3 mesi dall’esordio del fattore o dei fattori stressanti. La rilevanza clinica della reazione è indicata dal notevole disagio, che va al di là di quello prevedibile in base alla natura del fattore stressante, o da una significativa compromissione del funzionamento sociale o lavorativo (o scolastico). In sintesi, una reazione ad un fattore stressante che possa essere considerata normale o attesa può ancora rendere giustificabile una diagnosi di disturbo dell’adattamento se la reazione è sufficientemente grave da causare compromissione significativa. Questa categoria non dovrebbe essere usata se l’anomalia soddisfa i criteri per un altro disturbo specifico (per es., un disturbo d’ansia o un disturbo dell’umore specifico), o se costituisce solo un’esacerbazione di un preesistente disturbo. Comunque, un Disturbo dell’Adattamento può essere diagnosticato in presenza di un altro disturbo se quest’ultimo non spiega il tipo di sintomi che si sono manifestati in risposta al fattore stressante. La diagnosi di Disturbo dell’Adattamento non è corretta neppure quando i sintomi corrispondono al lutto. Per definizione, un Disturbo dell’Adattamento deve risolversi entro 6 mesi dalla cessazione del fattore stressante (o delle sue conseguenze). Comunque, i sintomi possono persistere per un periodo prolungato (cioè, più di 6 mesi) se si manifestano in risposta ad un fattore stressante cronico (per es., una condizione medica generale cronica e invalidante) o ad un fattore stressante che ha conseguenze durature (per es., le difficoltà finanziarie ed emotive che derivano da un divorzio). Il fattore stressante può essere costituito da un singolo evento (per es., fine di una relazione sentimentale), oppure possono esservi fattori stressanti multipli (per es., notevoli difficoltà negli affari e problemi coniugali). I fattori stressanti possono essere ricorrenti (per es., associati con crisi economiche legate a oscillazioni stagionali degli affari) o continui (per es., il vivere in una zona ad alta criminalità). I fattori stressanti possono interessare un singolo individuo, un’intera famiglia, oppure un gruppo più ampio o la comunità (per es., in un disastro naturale). Alcuni fattori stressanti possono essere associati ad eventi specifici dello sviluppo (per es., andare a scuola, lasciare la casa dei genitori, sposarsi, diventare genitore, mancare obiettivi professionali, andare in pensione).

  • DISTURBI DELL'INFANZIA E DELL'ADOLESCENZA

    I disturbi pervasivi dello sviluppo o sindromi da alterazioni globali dello sviluppo psicologico

    Gruppo di gravi disturbi dello sviluppo delle competenze sociali, cognitive e comunicative, ad insorgenza precoce:

    – Autismo

    – Sindrome di Asperger

    – Sindrome di Rett

    – Disturbo disintegrativo dell’infanzia

    – Disturbo pervasivo dello sviluppo NAS

    Autismo

    Disturbo caratterizzato dalla triade sintomatologica: a) difficoltà nell’interazione sociale; b) difficoltà nella comunicazione; c) gamma ristretta di interessi ed attività. Insorgenza: prima dei tre anni. Disturbo dell’interazione sociale: il bambino evita lo sguardo, non sorride al volto, non manifesta le normali attitudini anticipatorie, non si orienta alla voce della madre. Non si verificano, nel secondo semestre di vita, l’angoscia di separazione e l’angoscia dell’estraneo. Nel secondo anno di vita il bambino non risponde se chiamato, evita attivamente lo sguardo, non ricerca i coetanei, non richiede la presenza dei genitori. Disturbo della comunicazione: nel primo anno di vita mancano i normali comportamenti comunicativi preverbali, come il pointing richiestivo e dichiarativo. Nel secondo semestre di vita compaiono lallazioni inusuali, consonantiche, gutturali, bizzarre tanto da far pensare al verso di un animale. Nel secondo anno di vita il disturbo del linguaggio è talmente evidente che costituisce di solito il motivo per cui i bambini arrivano all’osservazione clinica. I bambini parlano in terza persona con prosodia cantilenante e monotona, presentano ecolalia diretta e più spesso differita, non adoperano il linguaggio per scopi comunicativi. Gamma ristretta di interessi e attività: già nel primo anno di vita si verifica la tendenza a focalizzare l’attenzione su attività stereotipate (per es., facendo scorrere avanti e indietro un camioncino sul pavimento). Nel secondo anno di vita può mostrarsi eccessivamente attaccato ad un oggetto (definito oggetto autistico). Gli studi più recenti evidenziano come, nella maggior parte dei soggetti, sia poi presente un ritardo mentale con profilo delle prestazioni solitamente disarmonico e con aree di buon funzionamento che riguardano particolari ambiti (per es., memoria spaziale, capacità di manipolazione e di riconoscimento di strutture ritmiche). In generale, possono essere presenti stereotipie motorie, deambulazione sulle punte, grimaces e sfarfallamenti, crisi di agitazione incontenibile se si cerca di interferire nelle stereotipie o se si modifica qualche cosa nell’ambiente, ritardo dello sviluppo posturo-motorio. Segni precoci da valutare: assenza del sorriso al terzo mese davanti al viso materno; assenza fra gli 8 e i 12 mesi della cosiddetta “angoscia dell’estraneo”; assenza di attitudini anticipatorie (il bambino autistico manca di ogni movimento di anticipazione sia verso le persone che verso gli oggetti). Nel primo anno di vita i sintomi sono per lo più di tipo “negativo”, si tratta di bambini “troppo buoni”, che piangono poco, scarsamente esigenti. Spesso manifestano fobia nei confronti di rumori particolari (lavatrice, aspirapolvere), degli spazi vuoti, di alcuni oggetti. Sintomi neurologici e psichiatrici associati: ipertonia, ipotonia, strabismo, discinesie, mioclonie, riflessi profondi o superficiali patologici si trovano più frequentemente nei bambini autistici; epilessia: dal 5 al 30% dei pazienti. Linee di trattamento: Farmacologico – Psicoterapeutico – educativo e riabilitativo – Trattamento integrato (il modello terapeutico cognitivo-comportamentale nell’autismo): precoce, intensivo, di gruppo (3-4 soggetti); multidimensionale; prolungato nel tempo; rivolto anche alle famiglie (alleanza terapeutica). Frequenza parallela dell’asilo nido e/o scuola materna per favorire la successiva integrazione scolastica.

    Disturbo di Asperger

    Si caratterizza per:

    – anomalia qualitativa dell’interazione sociale (simil autistica);

    – repertorio limitato, stereotipato di interessi e di attività;

    – nessun ritardo del linguaggio;

    – nessun ritardo cognitivo;

    – goffaggine;

    – tendenza a persistere nell’età adulta (episodi psicotici giovanili).

    Molti autori la considerano fra le forme di autismo ad alto funzionamento.

    Disturbo disintegrativo dell’infanzia

    Si manifesta dopo almeno due anni durante i quali lo sviluppo è stato normale, con una perdita delle capacità precedentemente acquisite e con una contemporanea comparsa di anomalie caratteristiche nell’ambito della socializzazione, della comunicazione e del comportamento. Caratteristiche sintomatologiche: compromissione qualitativa dell’interazione sociale e della comunicazione (per es., incapacità di sviluppare relazioni con i coetanei; uso stereotipato e ripetitivo del linguaggio, mancanza di giochi di imitazione) – perdita clinicamente significativa di capacità di prestazione già acquisite (per es., gioco, abilità motorie, controllo degli sfinteri) – crisi d’angoscia alla separazione dalla madre – interessi ed attività ristretti, ripetitivi e stereotipati, inclusi stereotipie motorie e manierismi –  contatti affettivi di tipo fusionale e ambivalente.

    In genere, il disturbo sembra legato ad una vulnerabilità primaria del bambino e può manifestarsi dopo un evento scatenante, spesso non ben definibile, ma che potrebbe essere, per es., anche un semplice trasloco o la separazione brusca dalla madre (per es.,ospedalizzazione della madre o del bambino). Sembra però verosimile che questi eventi siano associazioni casuali.

    Il disturbo disintegrativo dell’infanzia è apparentemente molto meno comune del disturbo autistico, ma la condizione è probabilmente poco conosciuta. Le due condizioni sono abbastanza simili, eccetto per l’età di esordio e la prognosi. Mentre nel disturbo autistico è evidente prima dei tre anni un’anormalità di interazione sociale, del linguaggio comunicativo e del gioco simbolico o immaginativo, nel disturbo disintegrativo dell’infanzia lo sviluppo è normale dopo i primi anni e la prognosi è perfino peggiore che nel disturbo autistico.

    Disturbo di Rett

    Trattasi di una patologia neurologica progressiva, con distribuzione quasi esclusiva nel sesso femminile, caratterizzata da demenza, iperammoniemia, comportamento autistico, aprassia della marcia, ipomimia e movimenti stereotipati delle mani. Criteri diagnostici: a) sviluppo prenatale apparentemente normale; b) sviluppo psicomotorio apparentemente normale nei primi 5 mesi dopo la nascita; c) circonferenza cranica normale alla nascita. Esordio dei seguenti sintomi dopo il periodo di sviluppo normale: a) rallentamento della crescita del cranio tra i 5 e i 48 mesi; b) perdita di capacità manuali finalistiche acquisite in precedenza fra i 5 e i 30 mesi con successivo sviluppo dei movimenti stereotipati delle mani (p.e. torcersi e lavarsi le mani); c) perdita precoce dell’interesse sociale lungo il decorso (sebbene l’interazione sociale si sviluppi spesso in seguito); d) insorgenza di andatura o movimenti del tronco scarsamente coordinati; e) sviluppo della ricezione e dell’espressione del linguaggio gravemente compromesso con grave ritardo psicomotorio.

    La semeiotica delle mani rappresenta un elemento cardine per la diagnosi; oltre alla stereotipia di lavaggio delle mani, si ha una progressiva disprassia manuale per cui abilità già acquisite, come prendere un cucchiaio e portarlo alla bocca, vengono perdute. Sono la norma la stipsi e l’aerofagia, frequente è il bruxismo.

    Anomalie elettroencefalografiche sono presenti nella maggior parte dei casi, ma non sono descritte anomalie specifiche. Fra le ipotesi etiopatogenetiche vi è in primo luogo quella genetica, data la distribuzione quasi esclusiva nel sesso femminile, l’alta familiarità, l’alto grado di consanguineità negli alberi genealogici dei soggetti colpiti; l’ipotesi più attuale è che il meccanismo di trasmissione sia di tipo autosomico recessivo. Gli studi neuropatologici hanno evidenziato una ipoplasia della substantia nigra, dovuta ad una riduzione dei granuli di melanina, senza perdita dei neuroni, una diffusa atrofia corticale, con riduzione delle dimensioni dei neuroni senza riduzione del numero, una riduzione delle arborizzazioni dendritiche in aree specifiche della corteccia, una diminuzione del volume cerebellare che riguarda soprattutto il verme, un’atrofia del caudato e del tronco encefalico, degenerazione dei fasci ascendenti e discendenti del midollo spinale. Uno studio con RMN ha evidenziato un’ipoplasia globale del cervello e atrofia progressiva del cervelletto.

    Ritardo mentale

    Con questo termine si indica un gruppo assai eterogeneo di condizioni il cui elemento fondamentale è il difetto mentale, cioè l’individuo resta capace, al termine di sviluppo, di espressioni psichiche ridotte e di qualità inferiore alla norma. La definizione di ritardo mentale deriva dagli autori anglosassoni e ha sostituito quelle di frenastenia, oligofrenia, deficienza mentale, imbecillità, idiozia, insufficienza mentale. E’ un pattern psicopatologico specifico che determina un difetto delle capacità cognitive (tale che al termine di sviluppo il soggetto non arriva mai alla tappa del pensiero “logico-formale”), nonché della personalità e delle relazioni con l’ambiente. Il concetto di ritardo mentale è relativo alle prestazioni che vengono richieste al soggetto a seconda dell’ambiente di vita e poiché le prestazioni richieste variano con l’età, il concetto di ritardo mentale è relativo all’età del soggetto. Criteri diagnostici: a) deficit intellettivo; b) disturbo delle capacità di adattamento in almeno due delle seguenti aree: comunicazione, autonomia personale, vita in famiglia, competenze sociali, uso risorse comunità, autodeterminazione, capacità di acquisizione apprendimenti scolastici di base, capacità di svolgere un lavoro, capacità di godere del tempo libero, capacità di tutelare la propria salute e sicurezza personale; c)  insorgenza prima dei 18 anni. Il funzionamento intellettivo generale è definito dal quoziente di intelligenza (QI) ottenuto tramite la valutazione con uno o più test di intelligenza standardizzati, somministrati individualmente.

    Livello del ritardo mentale (classificazione psicometrica – Q.I.  e analisi genetica secondo Piaget):

     

    Q.I. Analisi genetica

    Pensiero

    casi limite e borderline 70-84 operatorio-formale
    grado lieve 50-70 operatorio-concreto B (>9 anni)
    grado medio 35-49 operatorio-concreto A (6-9 anni)
    grado grave 20-34 Preoperatorio
    grado profondo o gravissimo <20 sensomotorio (possibili solo scambi affettivi e non cognitivi)

     

    E’ possibile diagnosticare un ritardo mentale in soggetti con un QI tra 70 e 75 che mostrano deficit significativi del comportamento adattivo. Al contrario, un ritardo mentale non dovrebbe essere diagnosticato ad un soggetto con un QI inferiore a 70 se non vi sono deficit significativi o compromissione del funzionamento adattivo. Schematizzando possiamo distinguere due grandi gruppi: quello dei ritardi mentali gravi  (RGM) e quello dei ritardi mentali lievi (RML). RMG grado profondo: comunicazione ridotta all’espressione degli occhi e del sorriso, comportamenti ripetitivi e sterotipati, manifestazioni autoaggressive. RMG grado grave: sviluppo del linguaggio tale da permettere una limitata comunicazione verbale, acquisizione di abitudini elementari, senza apprendimenti scolastici, qualche interesse affettivo o relazionale. RML grado medio e lieve: difetto di assimilazione dell’esperienza, cioè di informazione e di elaborazione percettiva; il soggetto non sa collocare ogni nuova percezione nel giusto contesto spaziale e temporale, non riesce a separare l’esperienza precedente, fissata nella memoria, da quella nuova, e da ciò deriva spesso una percezione rigida, poco mobile, stereotipata, troppo modellata sulla traccia dei ricordi.; goffaggine derivante dall’incapacità di programmare il movimento nel tempo e nello spazio; difetto del linguaggio e povertà di espressione; difficoltà di accedere al pensiero astratto. I comportamenti autoaggressivi sono presenti in una percentuale di soggetti ritardati che oscilla dal 10 al 15%; la frequenza va aumentando col ridursi del QI. Etiopatogenesi: – cause organiche (genetiche e biologiche)  –  anomalie geniche o cromosomiche –  alterazioni embrio-fetali –  alterazioni perinatali  –  alterazioni postnatali (traumatismi, encefaliti) – fattori psicosociali (carenze affettive gravi, mancanza di figure di allevamento) – cause sconosciute. Spesso multifattorialità.

    I bambini con ritardo mentale hanno sempre un disturbo metacognitivo ossia dell’utilizzazione delle proprie conoscenze, anche nei casi borderline che a tal fine vengono sottoposti a training particolari come un training metacognitivo sulla memoria, sulla lettura, sul ragionamento matematico. Tipo di organizzazione difensiva dei genitori di fronte al ritardo mentale: – spostamento dei sentimenti di colpa e scarico fra congiunti, sul personale medico, sugli educatori, sugli infermieri – controinvestimento nell’iperprotezione o nella riparazione (sacrificio espiatorio) – il diniego (“non è vero, si ingannano”) – l’annullamento (“non potete farci niente”) – l’ambivalenza (fra rifiuto e sacrificio). E’ l’atteggiamento più frequente; ricorrente in tutti i momenti importanti della vita (primi passi, scuola, pubertà, ecc.)

    Disturbi dell’apprendimento

    I Disturbi dell’Apprendimento comprendono il Disturbo della Lettura, il Disturbo del Calcolo, il Disturbo dell’Espressione Scritta, ed il Disturbo dell’Apprendimento Non Altrimenti Specificato. Vengono diagnosticati quando i risultati ottenuti dal soggetto in test standardizzati, somministrati individualmente, su lettura, calcolo, o espressione scritta risultano significativamente al di sotto di quanto previsto in base all’età, all’istruzione, e al livello di intelligenza. I problemi di apprendimento interferiscono in modo significativo con i risultati scolastici o con le attività della vita quotidiana che richiedono capacità di lettura, di calcolo, o di scrittura. Diagnosi differenziale. I disturbi dell’apprendimento devono essere differenziati da normali variazioni nei risultati scolastici e da difficoltà scolastiche dovute a mancanza di opportunità, insegnamento scadente, o fattori culturali. Un’istruzione inadeguata può avere come risultato una scadente prestazione ai test standardizzati di rendimento. I bambini con retroterra etnico o culturale diverso rispetto alla cultura scolastica prevalente, o che seguono i loro studi in lingue diverse dalla lingua madre, o i bambini che hanno frequentato scuole dove l’insegnamento è stato inadeguato possono avere punteggi bassi ai test di rendimento. I bambini con questo stesso retroterra possono anche essere a rischio maggiore di assenteismo scolastico dovuto a malattie più frequenti o ad ambienti di vita impoveriti o caotici. Una compromissione visiva o uditiva può danneggiare la capacità di apprendimento e dovrebbe essere studiata con test di screening audiometrico o visivo. Un disturbo dell’apprendimento può essere diagnosticato in presenza di tali deficit sensoriali solo se le difficoltà di apprendimento vanno al di là di quelle solitamente associate con quei deficit. Nel ritardo mentale le difficoltà di apprendimento sono proporzionate alla compromissione generale del funzionamento intellettivo. Comunque, in alcuni casi di ritardo mentale lieve, il livello di apprendimento nella lettura, nel calcolo, o nell’espressione scritta è significativamente al di sotto dei livelli previsti in base all’istruzione del soggetto e alla gravità del ritardo mentale. In questi casi dovrebbe essere ulteriormente diagnosticato l’appropriato disturbo dell’apprendimento. Dovrebbe essere fatta una diagnosi aggiuntiva di disturbo dell’apprendimento nel contesto di un disturbo pervasivo dello sviluppo solo quando la compromissione scolastica è significativamente al di sotto dei livelli previsti in base al funzionamento intellettivo e all’istruzione del soggetto. Il disturbo di calcolo ed il disturbo dell’espressione scritta insorgono assai frequentemente in associazione con il disturbo della lettura. Manifestazioni e disturbi associati: demoralizzazione, scarsa autostima e deficit nelle capacità sociali possono essere associati. La percentuale di bambini o adolescenti con disturbi dell’apprendimento che abbandonano la scuola è stimata intorno al 40%. Da adulti possono avere notevoli difficoltà nel lavoro o nell’adattamento sociale.

    Disturbo delle capacità motorie

    Include il Disturbo dello Sviluppo della Coordinazione, che è caratterizzato da coordinazione motoria sostanzialmente inferiore rispetto a quanto previsto data l’età cronologica e la valutazione psicometrica dell’intelligenza del soggetto. La diagnosi viene fatta solo se: a) questa compromissione influisce in modo significativo con l’apprendimento scolastico e le attività della vita quotidiana;   b) la difficoltà non è dovuta ad una condizione medica generale (per es., paralisi cerebrale, emiplegia, distrofia muscolare). Le manifestazioni di questo disturbo variano con l’età e con lo sviluppo. I bambini più piccoli possono presentare goffaggine e ritardo nel raggiungimento delle tappe fondamentali dello sviluppo motorio  (per es., gattonare, camminare, stare seduti, allacciarsi le scarpe, abbottonarsi la camicia, ecc.). I bambini più grandi possono mostrare difficoltà nelle componenti motorie dell’assemblaggio dei puzzles, nel modellismo, nel giocare a palla, nello scrivere in stampatello e nella grafia. Se è presente ritardo mentale, le difficoltà vanno al di là di quelle di solito associate con esso.

    Disturbi della comunicazione

    Comprendono: a) Disturbo dell’espressione del linguaggio; b) Disturbo misto dell’espressione e della ricezione del linguaggio; c) Disturbo della fonazione; d) Balbuzie; e) Disturbo della comunicazione non altrimenti specificato (NAS).

    Disturbo dell’espressione del linguaggio: la caratteristica fondamentale del disturbo dell’espressione del linguaggio è una compromissione dello sviluppo del linguaggio espressivo, dimostrata dai punteggi ottenuti con misurazioni standardizzate (somministrate individualmente) dello sviluppo della espressione del linguaggio, che sono sostanzialmente inferiori rispetto a quelle ottenute con misurazioni standardizzate sia dell’abilità intellettiva non verbale che dello sviluppo della ricezione del linguaggio. Quando non siano disponibili strumenti standardizzati o appropriati, la diagnosi potrebbe basarsi su una valutazione funzionale globale delle capacità di linguaggio dell’individuo. Le difficoltà possono insorgere nella comunicazione che implica sia il linguaggio verbale che il linguaggio gestuale. Le difficoltà di linguaggio interferiscono con i risultati scolastici o lavorativi o con la comunicazione sociale. La manifestazione più comunemente associata al Disturbo della Espressione del Linguaggio nei bambini più piccoli è il disturbo della fonazione. Vi può essere anche un’anomalia nella scorrevolezza e nella formulazione del linguaggio, che comporta una velocità eccessivamente elevata, un ritmo irregolare dell’eloquio e anomalie nella struttura del linguaggio (“farfugliamento”). Quando il disturbo dell’espressione del linguaggio è acquisito, sono comuni anche ulteriori difficoltà di eloquio che possono includere problemi di articolazione motoria, errori fonetici, eloquio lento, ripetizione di sillabe, tonalità e modalità di accentuazione monotone. Tra i bambini in età scolare, i problemi scolastici e di apprendimento (per es., il dettato, la copiatura, e la compitazione), che talvolta soddisfano i criteri per i disturbi dell’apprendimento, sono spesso associati con il disturbo dell’espressione del linguaggio.

    Disturbo misto dell’espressione e della ricezione del linguaggio. Un soggetto con questo disturbo presenta le difficoltà associate al disturbo dell’espressione del linguaggio (per es., vocabolario notevolmente limitato, errori nella coniugazione dei verbi, difficoltà nel ricordare le parole o nel comporre frasi di lunghezza o complessità adeguata al livello di sviluppo, e difficoltà generale nell’esprimere le idee), ed ha anche una compromissione nello sviluppo della ricezione del linguaggio (per es., difficoltà nel comprendere parole, frasi, o tipi particolari di parole). Nei casi lievi, possono esservi difficoltà solo nella comprensione di particolari tipi di parole (per es., termini spaziali) o di frasi (per es., frasi complesse come costruzioni ipotetiche). Nei casi più gravi, vi possono essere menomazioni multiple, inclusa l’incapacità di capire il vocabolario di base o frasi semplici, e deficit in diverse aree dell’elaborazione uditiva (per es., discriminazione dei suoni, associazione di suoni e simboli, immagazzinamento, rievocazione, e costruzione di sequenze).

    Disturbo della fonazione. Include errori di produzione fonetica (cioè di articolazione) che comportano l’incapacità di formare i suoni dell’eloquio in modo corretto e con una base cognitivamente esatta, il che porta ad un deficit nella categorizzazione linguistica dei suoni dell’eloquio (per es., una difficoltà di decidere quali suoni nel linguaggio creano una differenza di significato). La gravità varia da uno scarso o nullo effetto sull’intellegibilità dell’eloquio ad un eloquio del tutto incomprensibile. I suoni più frequentemente malarticolati sono quelli acquisiti più tardi nella sequenza dello sviluppo (l, r, s, z, gl, gn, c), ma nei soggetti più giovani o più gravemente ammalati sono interessate anche le consonanti e le vocali che si sviluppano in precedenza. La blesità (cioè la malarticolazione delle sibilanti) è particolarmente comune. Il Disturbo della Fonazione può anche comprendere errori di selezione e di ordinazione dei suoni all’interno di sillabe e parole (per es., trub per turb, petr per pret).

    Balbuzie. La manifestazione principale è un’anomalia del normale fluire e della cadenza dell’eloquio, che non risulta adeguato all’età del soggetto. Questa anomalia è caratterizzata da frequenti ripetizioni o prolungamenti di suoni o di sillabe. Possono esservi diversi altri tipi di anomalie del fluire dell’eloquio, comprese interiezioni, interruzioni di parole (pause all’interno di una parola), blocchi udibili o silenti (pause colmate o non colmate nel discorso), circonlocuzioni (cioè, sostituzioni di parole per evitare parole problematiche), parole emesse con un’eccessiva tensione fisica e ripetizioni di un’intera parola monosillabica (per es., “O-O-O-O fame”). L’anomalia nella scorrevolezza interferisce con i risultati scolastici o professionali o con la comunicazione sociale. La balbuzie è spesso assente durante la lettura orale, il canto o il colloquio con oggetti inanimati o con animali.

    Disturbi della comunicazione NAS. Questa categoria diagnostica riguarda i disturbi della comunicazione che non soddisfano i criteri per alcun Disturbo della Comunicazione specifico; per esempio, un disturbo della voce (cioè, un’anomalia dell’altezza, dell’intensità, della qualità, della tonalità o della risonanza vocale).

    Disturbi da deficit di attenzione e da comportamento dirompente

    Comprendono. a) il disturbo da deficit di attenzione/ iperattività, caratterizzato da imponenti sintomi di disattenzione e/o di iperattività-impulsività; b) il disturbo della condotta, caratterizzato da una modalità di comportamento che lede i diritti fondamentali degli altri oppure le principali norme o regole sociali adeguate alla età; c) il disturbo oppositivo provocatorio, caratterizzato da una modalità di comportamento negativistica, ostile, e provocatoria.

    Disturbo della nutrizione dell’infanzia o della prima fanciullezza

    La caratteristica fondamentale è la persistente incapacità del bambino di mangiare adeguatamente, come manifestato dalla significativa difficoltà ad aumentare di peso o da una significativa perdita di peso durante un periodo di almeno un mese. Non vi è una condizione gastrointestinale o un’altra condizione medica generale (per es., reflusso gastroesofageo) abbastanza grave da spiegare l’anomalia della nutrizione. L’anomalia non è neppure meglio attribuibile a altro disturbo mentale o a mancanza di cibo. L’esordio del disturbo deve avvenire prima dei 6 anni di età. I soggetti in età infantile con tale disturbo possono essere irritabili e difficili da confortare durante la nutrizione. Possono apparire apatici e ritirati e mostrare ritardi di sviluppo. In alcuni casi, problemi di interazione genitore-bambino possono contribuire ai problemi di nutrizione del bambino o aggravarli (per es., offrire il cibo in modo inadeguato o rispondere al rifiuto del cibo da parte del bambino come se fosse un atto di ricusazione aggressiva). Un apporto calorico inadeguato può esacerbare le caratteristiche associate (per es., irritabilità, rallentamenti dello sviluppo) e contribuire ulteriormente alle difficoltà di nutrizione. I fattori che possono essere associati alla condizione includono caratteristiche temperamentali o un ritardo della crescita intrauterino e preesistenti compromissioni dello sviluppo che possono rendere il bambino meno reattivo. Altri fattori associati includono la psicopatologia dei genitori e il maltrattamento o l’abbandono del bambino.

    Disturbi da tic

    Un tic è un movimento, o una vocalizzazione, improvviso, rapido, ricorrente, aritmico e stereotipato. I tic motori e vocali possono essere semplici (con il coinvolgimento di pochi muscoli o con l’emissione di suoni semplici) o complessi (con il coinvolgimento di gruppi multipli di muscoli reclutati per l’emissione di esplosioni orchestrate o parole e frasi). Esempi di tic motori semplici sono ammiccamenti, arricciamenti di naso, torsioni del collo, alzate di spalle, smorfie del viso e contrazione addominale. I tic motori complessi includono movimenti delle mani, saltare, toccare, schiacciare, pestare i piedi, contorsioni del viso, annusare ripetutamente un oggetto, accovacciarsi, flettere profondamente le ginocchia, tornare sui propri passi, piroettare camminando ed assumere e mantenere insoliti atteggiamenti posturali. Questi tic sono di durata più lunga. La coproprassia (un gesto improvviso, simile al tic, ma volgare, sessuale od osceno) e i fenomeni a specchio come l’ecoprassia (imitazione spontanea e involontaria di movimenti di un altro) sono tic motori complessi. I tic vocali semplici sono suoni senza significato come raschiarsi la gola, grugnire, annusare, soffiare e stridire. I tic vocali complessi coinvolgono più chiaramente l’eloquio e il linguaggio, ed includono l’espressione spontanea ed improvvisa di singole parole o frasi, il blocco dell’eloquio, cambiamenti improvvisi e senza senso dell’altezza, dell’enfasi o del volume dell’eloquio; la palilalia (ripetizione dei propri suoni o delle proprie parole) e l’ecolalia (ripetizione del suono, della parola o della frase uditi per ultimi). La coprolalia è l’espressione inappropriata ed improvvisa di una parola o di una frase socialmente inaccettabile e può includere oscenità così come specifiche ingiurie, etniche, razziali o religiose. I tic di solito vengono avvertiti come irresistibili, ma possono essere repressi per periodi variabili di tempo. Molte persone con tic avvertono una tensione che cresce o una sensazione fisica in una parte del corpo che precede il tic motorio o vocale ed un sentimento di sollievo o di riduzione della tensione dopo l’espressione del tic. I tic sono spesso più frequenti quando una persona si rilassa in privato (per es., guardando la televisione) e diminuiscono quando il soggetto è impegnato in una attività diretta ed impegnativa (per es., leggere o cucire). I tic possono aggravarsi nei periodi di stress come quando vi è un aumento della pressione sul lavoro o durante gli esami.

    Disturbi dell’evacuazione

    a) encopresi, ripetuta evacuazione di feci in luoghi inappropriati (per es., nei vestiti o sul pavimento). La maggior parte delle volte ciò è involontario ma occasionalmente può essere intenzionale. L’incontinenza fecale non deve essere collegata esclusivamente agli effetti diretti di una sostanza (per es., lassativi) o di una condizione medica generale; b) enuresi, ripetuta emissione di urine durante il giorno o di notte, nei vestiti o nel letto. La maggior parte delle volte ciò è involontario ma può essere intenzionale. Il soggetto deve aver raggiunto un’età in cui è previsto il controllo della minzione. L’incontinenza urinaria non è dovuta esclusivamente agli effetti diretti di una sostanza (per es., diuretici) o di una condizione medica generale (per es., diabete, spina bifida, un disturbo convulsivo).

    Altri disturbi dell’infanzia, della fanciullezza o dell’adolescenza

    a) Disturbo d’ansia di separazione, caratterizzato da un’ansia eccessiva e inadeguata rispetto al livello di sviluppo che riguarda la separazione da casa o da coloro a cui il bambino è attaccato; b) Mutismo selettivo,  caratterizzato da una notevole incapacità di parlare in specifiche situazioni sociali nonostante in altre situazioni parlare risulti possibile; c) Disturbo reattivo dell’attaccamento dell’infanzia o della prima fanciullezza, caratterizzato da una modalità di relazione sociale notevolmente disturbata e inadeguata rispetto al livello di sviluppo, che si manifesta nella maggior parte dei contesti ed è associata con un accudimento grossolanamente patogeno; d) Disturbo da movimenti stereotipati, caratterizzato da comportamento motorio ripetitivo, verosimilmente intenzionale e afinalistico, che interferisce notevolmente con le normali attività e a volte può comportare lesioni corporee. In genere, i bambini o gli adolescenti possono presentare problemi che richiedono attenzione clinica ma che non sono definiti come disturbi mentali (per es., difficoltà relazionali, connesse a maltrattamento o abbandono, lutto, funzionamento intellettivo limite, problemi scolastici).

    Depressioni dell’età infantile

    Nella prima infanzia il quadro depressivo si manifesta unicamente con disturbi somatici: turbe dell’alimentazione e del sonno, ritardo dello sviluppo psicomotorio. Nella seconda infanzia si manifesta con insufficienza delle prestazioni intellettive, tendenza all’isolamento, crisi di pianto apparentemente immotivate; si possono inoltre rilevare condotte aggressive, manifestazioni fobiche (pavor nocturnus, crisi dispnoiche), comportamenti autoerotici (suzione del pollice) e regressivi (enuresi ed encopresi). Nell’età scolare la depressione si esprime con cattivo adattamento scolastico: ritardo e difficoltà dell’apprendimento, insicurezza, sfiducia nelle proprie capacità, crisi di pianto. Dopo i dieci anni la depressione assume caratteri di maggiore completezza ed acquista aspetti molto simili a quelli dell’età adulta; appaiono vissuti di tristezza vitale, blocco dell’iniziativa pragmatica e dell’ideazione, idee ipocondriache e depersonalizzazione affettiva.

    Fobia scolare

    Si fa riferimento alla fobia scolare quando l’ansia e la paura ad andare e restare a scuola sono così elevate da compromettere in modo significativo una regolare frequenza scolastica e causare conseguenze sia a breve che a lungo termine. Tali conseguenze possono riguardare lo sviluppo emotivo, sociale, l’apprendimento scolastico, difficoltà nel rapporto con i coetanei e la famiglia. Il disturbo si caratterizza per i seguenti comportamenti problematici e sintomi somatici: a) elevata reazione di ansia alla’uscita da casa o nel giungere davanti alla scuola; b) vari sintomi somatici (per es., vertigini, mal di testa, palpitazioni, dolore al torace, tremori, nausea, dolori addominali, vomito, diarrea, dolore agli arti, alle spalle; c) il livello di ansia può essere elevato fin dalla sera prima ed il bambino può dormire male, il sonno può essere disturbato da incubi o risvegli notturni. I fattori scatenanti una fobia sociale andranno indagati con cura al fine di restituire un benessere al bambino. Di solito tali fattori sono ambientali: eventi stressanti a casa o a scuola; malattia propria o di un membro della famiglia; separazione dei genitori; contrasti in famiglia; problemi con un insegnante o con i compagni.  La fobia scolare non va confusa con l’assenza ingiustificata a scuola che comporta assenza di ansia e di paura e spesso è associata a comportamenti oppositivi o di condotta o alla mancanza di interesse e motivazione.

  • DISTURBI DELL'ALIMENTAZIONE

    Anoressia

    Disturbo che colpisce prevalentemente il sesso femminile (gruppi a rischio: ginnaste, modelle, ballerine, atlete). L’insorgenza è tipicamente in epoca adolescenziale. Criteri diagnostici: a) rifiuto di mantenere il peso corporeo a un valore minimo normale per l’età e per l’altezza, con un dimagrimento di almeno il 15% rispetto al peso iniziale (se si tratta di un adolescente in accrescimento si parla più propriamente di mancato accrescimento ponderale); b) intensa paura di ingrassare e diventare obeso, anche se il soggetto è chiaramente sottopeso o addirittura emaciato; c) disturbi dell’immagine corporea, con alterazione della percezione delle dimensioni del proprio corpo; d) amenorrea per almeno tre mesi consecutivi, oppure presenza di cicli mestruali solo con opportuna terapia, o ancora ritardo nella comparsa del menarca rispetto all’età media. Clinica: l’esordio è in genere insidioso (per es., con una semplice dieta dimagrante in un soggetto realmente in sovrappeso) spesso in bambine docili, ubbidienti e remissive, con caratteristiche di perfezionismo e competitività, cresciute, di solito, in un ambiente familiare chiuso alle influenze esterne. La ricerca della magrezza viene perseguita con la riduzione dell’apporto alimentare, con l’eliminazione dapprima dei cibi ad alto contenuto calorico, poi di qualunque altro alimento, con le “condotte di eliminazione” (vomito, abuso di lassativi, di diuretici, di anoressizzanti), con un’iperattività generica tesa ad aumentare il consumo calorico. L’appetito, per lo meno nelle fasi iniziali, è conservato. Il disturbo dell’immagine corporea è l’elemento psicopatologico più importante e può essere riferito a una parte del corpo (guance troppo tonde, pancia voluminosa). Al disturbo dell’immagine corporea si affianca la negazione di malattia ed il rifiuto delle cure. Il tono dell’umore è verso il polo positivo all’inizio, poi subentra una componente depressiva con tendenza all’isolamento sociale anche come risposta alle pressioni esercitate da familiari e conoscenti riguardo l’alimentazione. Proprio la depressione (o la distimia) è il disturbo psichiatrico più spesso associato, subito prima dell’esordio o durante la malattia. Spesso, comunque c’è una familiarità positiva per disturbi dell’umore. Nel 50% delle pazienti si verificano crisi bulimiche (è possibile fare anche diagnosi contemporanea). Sono spesso presenti tratti di disturbo ossessivo di personalità e disturbo narcisistico di personalità. Esame obiettivo: – perdita di peso con diminuzione di solito del 25% del peso corporeo iniziale – scomparsa dei caratteri sessuali secondari – atrofia degli annessi cutanei –  diminuzione della temperatura corporea – bradicardia – perdita di sali, soprattutto potassio – diminuzione o scomparsa del sottocutaneo adiposo – edemi (detti edemi da fame) – ipoalbuminemia e rischio serio di edema polmonare – amenorrea (l’amenorrea si pensava secondaria al dimagrimento, ma si è constatato che spesso precede il quadro conclamato, quindi può essere legata ad alterazioni diencefaliche) – stipsi – eccesso di energia. Decorso: episodio isolato – ripetersi di episodi della durata di 8 mesi, 1 anno – stato continuo o subcontinuo. Più spesso si tratta di episodio singolo seguito da una remissione più o meno completa. La mortalità varia dal 5 al 20%. La guarigione va dallo 0 al 30%. Terapia: il trattamento iniziale è rivolto al controllo della condizioni somatiche generali, degli squilibri idroelettrolitici, della disidratazione. Successivamente si fa  una dieta strutturata con aumento graduale delle calorie per cercare di ottenere un aumento di peso di circa 0,250 kg ogni giorno e si associa una terapia di tipo comportamentale stabilendo uno schema di “premi” o “punizioni” subordinate alle variazioni di peso. Sono utili in questa fase gli antidepressivi, sia per alleviare la sintomatologia depressiva, sia per stimolare direttamente l’appetito. La psicoterapia è particolarmente utile per la stabilizzazione dei risultati.

    Bulimia

    Criteri diagnostici: a) ricorrenti abbuffate (rapida assunzione di una grande quantità di cibo in un periodo di tempo definito); b) sentimento di mancanza di controllo sulla condotta alimentare durante le abbuffate; c) uso regolare di vomito autoindotto o di lassativi o di diuretici, di dieta rigida o di digiuno oppure di intenso esercizio fisico allo scopo di prevenire un aumento di peso; d) una media di almeno 2 abbuffate a settimana per almeno 3 mesi; e) attenzione eccessiva e costante per il peso e l’aspetto corporeo. Prevalenza maggiore nel sesso femminile, età di esordio tipica 20 anni. L’esordio della malattia è spesso associato con una dieta tesa a perdere peso. La maggior parte delle pazienti è normopeso; la crisi bulimica si scatena in genere in momenti di tristezza, ansia, collera, stress, solitudine, noia, oppure dopo avere assaggiato uno dei cibi proibiti o altamente calorici. Durante la crisi si produce un sollievo dagli stati d’animo spiacevoli che è però del tutto temporaneo perché subentrano sensi di colpa per avere perso il controllo, idee di autosvalutazione, depressione dell’umore, disgusto per se stesse, pensieri di suicidio. Su questo substrato ricorre il vomito o l’abuso di lassativi e altre condotte di eliminazione. La fine alla crisi è posta da cause estranee alla volontà della paziente come il sonno, il sopraggiungere di altre persone, l’esaurimento del cibo. Nel 50% delle pazienti si verificano alcalosi metabolica, ipocloremia, ipokaliemia; sono molto frequenti le irregolarità del ciclo mestruale. Anamnesi familiare positiva per i disturbi della condotta alimentare. Disturbi associati: anoressia, distimia, depressione maggiore, disturbi del comportamento e del controllo degli impulsi.

  • DISTURBI D'ANSIA

    Disturbo di panico e agorafobia

    Disturbo caratterizzato da episodi acuti di ansia intollerabile che insorge bruscamente e che in pochi istanti raggiunge il culmine. Non dura in genere più di mezz’ora e risulta associata ad un’intensa sintomatologia neurovegetativa (palpitazioni, sensazione di soffocamento, nodo alla gola, vampate di caldo o di freddo, formicolii agli arti, sudorazione, tremori, vertigini, senso di instabilità) e ad un vissuto psicologico di terrore, di morte imminente e di paura di perdere il controllo sui propri pensieri o sulle proprie azioni.

    Gli attacchi possono iniziare in situazioni, che di per sé provocano disagio (attacchi di panico situazionali) ma, più frequentemente, sono inaspettati e insorgono improvvisamente (attacchi di panico spontanei o inattesi). Per la diagnosi di disturbo di panico (con o senza agorafobia) è richiesto il manifestarsi  di attacchi di panico ricorrenti ed inaspettati. Gli attacchi di panico non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es. intossicazione da caffeina), o di una condizione medica generale (per es. ipertiroidismo). Il primo attacco è in genere inatteso, quasi sempre, però, in situazioni o ambienti in cui la persona avverte costrizione, isolamento, solitudine-abbandono o, comunque, limitazione della propria autonomia e libertà. In un terzo circa dei pazienti si hanno sintomi come depersonalizzazione, derealizzazione, deja-vu, metamorfopsie  (disturbo visivo che porta ad una visione deformata degli oggetti), sia durante gli attacchi che nelle fasi intercritiche. La fase iniziale della malattia è solitamente caratterizzata da attacchi di panico che possono presentarsi isolati o, più spesso, con persistenza di sintomi neurovegetativi associati ad uno stato di paura e ansietà negli intervalli fra gli episodi critici. Nella maggior parte dei casi, dopo i primi attacchi, compare una fase di elaborazione ipocondriaca. Un crescente timore che le crisi possano ripetersi comincia a pervadere l’esistenza del paziente che diventa ansioso, in stato di continua apprensione, ipervigilante: questo particolare stato d’ansia va sotto il nome di ansia anticipatoria. Con l’intensificarsi della frequenza delle crisi e per la tendenza ad associare gli attacchi con situazioni e luoghi specifici si strutturano poi le condotte di evitamento; si parla di agorafobia quando questi pazienti iniziano a limitare la propria attività ed evitano situazioni importanti per la loro vita di tutti i giorni. L’agorafobia può produrre sintomi tipo panico con un’intensità variabile. I pazienti con agorafobia non evitano solo piazze e posti affollati, ma anche altri luoghi (ponti, tunnel, ascensori, treni) e situazioni nelle quali può risultare difficile fuggire o ricevere aiuto nel caso di una crisi improvvisa di paura. Essi sviluppano la paura di avere paura o fobofobia (per es., paura di avere un attacco improvviso di vertigini o di diarrea), diventano incapaci di uscire di casa da soli e necessitano di un compagno-accompagnatore. In circa il 25% dei pazienti risulta all’anamnesi fobia scolare e ansia di separazione nell’infanzia. Complicanze frequenti sono la comparsa di demoralizzazione secondaria e l’abuso-dipendenza da benzodiazepine.

    Disturbo da ansia generalizzata

    Condizione persistente di ansia ed apprensione (della durata di almeno sei mesi), con manifestazioni a carico della sfera somatica e cognitiva, in assenza di sintomi come attacchi di panico, fobie, ossessioni e compulsioni. L’età di esordio è variabile con prevalenza nella fascia compresa tra i 20 e i 30 anni. Questi soggetti esperiscono, in assenza di realistiche motivazioni, sentimenti di apprensione riguardanti la salute e l’incolumità fisica dei familiari, la situazione economica, ecc., con previsioni di sventura per sé e per gli altri. Essi vivono in uno stato di allarme e ipervigilanza, devono avere tutto sotto controllo (tratto ossessivo di fare tutto bene, perfezionismo). Possono essere presenti astenia, disturbi del sonno, umore lievemente depresso,  difficoltà di concentrazione, stato di tensione muscolare persistente. Il decorso è continuo, persistente e con fasi di riesacerbazione. I pazienti imparano a convivere con il disturbo, interpretandolo come uno stile di vita e riescono a mantenere adeguate capacità prestazionali e a condurre una vita attiva e valida sotto il profilo relazionale.

    Fobia semplice

    Paura irrazionale di un oggetto o di una situazione associata a condotte di evitamento dello stimolo fobico. La paura è giudicata dalla persona come irrazionale e non commisurata alla natura dello stimolo. Essa può riguardare il buio, l’altezza, gli animali, il sangue. Il vissuto ansioso si associa a sintomi di tipo vegetativo (sudorazione, tachicardia) ed a sensazioni somato-viscerali abnormi (astenia, cenestopatie).

    Fobia sociale o Disturbo d’Ansia Sociale

    Il timore di apparire ridicoli di fronte agli altri e l’ansia provata nel contatto con gli estranei sono fenomeni pressoché ubiquitari ma la loro intensità e pervasività rappresentano elementi fondamentali della fobia sociale.
    Nel disturbo d’ansia sociale possiamo individuare i seguenti domini: la sensitività interpersonale, le manifestazioni comportamentali e somatiche associate e l’insieme delle situazioni o delle performance scatenanti. L’aspetto psicopatologico fondamentale del disturbo è la cosiddetta sensitività interpersonale che comprende ipersensibilità al giudizio ed alla critica, difficoltà nei rapporti interpersonali, scarsa assertività, disagio nel sentirsi al centro dell’attenzione, sentimenti di inferiorità e di autosvalutazione. Essa si ritrova in numerosi disturbi mentali, quali la depressione atipica, il disturbo da dismorfismo corporeo, il disturbo evitante di personalità, la bulimia nervosa. Le manifestazioni comportamentali della fobia sociale comprendono l’inibizione, l’evitamento e gli atteggiamenti sostenuti dal senso di inferiorità e dal sentimento di inadeguatezza. Il paziente socialfobico appare così spesso con il capo chino, parla con tono di voce sommesso, evita il contatto oculare, non sa mantenere una posizione, non riesce a nascondere il proprio disagio. La disorganizzazione delle capacità relazionali dovuta all’ansia sociale è stata identificata da tempo. Comporta due tendenze principali: a) accelerazione ed attività febbrile; b) blocco e rallentamento. La loro frequente sovrapposizione si concretizza nella goffaggine e, talvolta, in condotte del tutto inadeguate. Le manifestazioni neurovegetative dell’ansia sociale possono avere intensità pari all’attacco di panico. Due sintomi sembrano comunque tipici della fobia sociale: l’arrossire e la “morsa allo stomaco”. Palpitazioni, tremore e sudorazione sono tra i fenomeni vegetativi più frequentemente associati alla fobia sociale. La fobia sociale produce ansia anticipatoria e condotte di evitamento nelle situazioni in cui il soggetto si sente sotto il giudizio altrui. In base al numero delle situazioni temute e/o evitate si distinguono comunemente due tipi di fobia sociale: la forma generalizzata e la forma non-generalizzata (discreta o specifica). Sono particolarmente frequenti il disagio nel trovarsi al centro dell’attenzione e, soprattutto, il parlare in pubblico. L’ansia anticipatoria e le condotte di evitamento peggiorano le performance sociali del soggetto, sostengono la sensazione di inadeguatezza e sono causa della ridotta autostima. Si genera cioè un circolo vizioso in cui i sintomi d’ansia peggiorano le performance sociali del soggetto o la percezione che egli ha delle proprie abilità sociali. Il soggetto vive così solo esperienze negative e mostra una focalizzazione attentiva sul sé con immancabile, conseguente, presenza di ansia anticipatoria e di condotte di evitamento e con peggioramento della prestazione ed effetti di rinforzo (il soggetto si aspetta una prestazione scadente e questa effettivamente si verifica). L’ansioso che ha un timore folle di arrossire o di mettersi a tremare quando il capo lo convoca, aumenta le sue probabilità di arrossire o di mettersi a tremare proprio per il fatto di concentrare i suoi pensieri su questo genere di rischi. Chi sviluppa eccessiva ansia nei rapporti sociali ha la tendenza a fraintendere il comportamento altrui come un’esibizione di potere e reagisce con comportamenti di sottomissione, inibisce l’interazione spontanea, assume atteggiamenti servili. Viene evitato il contatto oculare, il tono di voce si appiattisce, l’atteggiamento del corpo è curvo con il capo chino, c’è una tendenza a scusarsi continuamente e a fare commenti auto denigratori.

    Disturbo post-traumatico da stress

    Sviluppo di un peculiare quadro psicopatologico a seguito di un evento di grande impatto emotivo come seria minaccia per la propria vita o integrità fisica, seria minaccia o pericolo per i figli, il coniuge o altri stretti parenti, improvvisa distruzione della propria casa o comunità, violenza fisica. Successiva ripetuta esperienza di rivivere l’evento attraverso ricordi ricorrenti ed invasivi, sogni ricorrenti dell’evento, improvviso agire o sentire come se l’evento stesse di nuovo verificandosi, intenso disagio psicologico durante l’esposizione ad eventi che simbolizzano o assomigliano in qualche aspetto all’evento traumatico compresi anniversari del trauma. Sintomi persistenti di ipervigilanza: difficoltà ad addormentarsi, irritabilità o scoppi di rabbia, difficoltà di concentrazione, esagerata reattività agli stimoli, reattività neurovegetativa durante l’esposizione ad eventi che ricordano l’evento traumatico. Ansia ed evitamento fobico degli stimoli associati con il trauma od obnubilamento della responsività come sforzo di evitare pensieri o sensazioni associate con il trauma, sforzo di evitare attività o situazioni che ricordano l’evento traumatico, incapacità di ricordare importanti aspetti del trauma (amnesia psicogena), diminuzione marcata di interesse in attività significative, sentimenti di distacco od estraneità dagli altri, esperienze di derealizzazione, ridotta affettività, mancanza di fiducia nel futuro. Il decorso può essere sia acuto che cronico; nella maggioranza dei casi dura meno di 6 mesi.

    Disturbo ossessivo-compulsivo

    Presenza di ossessioni (idee, pensieri, immagini o impulsi persistenti non prodotti volontariamente, che invadono la coscienza, che sono privi di senso, sgradevoli e che il paziente tenta di sopprimere) e compulsioni (comportamenti ripetitivi apparentemente finalizzati, messi in atto secondo certe regole o in maniera stereotipata) ricorrenti.

    Le ossessioni e le compulsioni sono in genere egodistoniche (diagnosi differenziale con disturbi del controllo degli impulsi come cleptomania, bulimia, gioco d’azzardo, ecc. che comportano piacere nel compimento degli atti compulsivi). Un sentimento d’ansia accompagna l’idea o l’impulso ed induce il soggetto a prendere delle contromisure difensive; l’ansia può nascere dal contenuto dell’idea o dell’impulso, o scaturire dal sentimento di perdita di padronanza sui propri contenuti di coscienza. I sintomi devono costituire causa significativa di malessere per l’individuo o interferire con il suo funzionamento sociale. I quadri sintomatologici di più frequente riscontro sono: ossessioni e checking, ordine e simmetria, pulizia e lavaggi, accumulo.

    Ossessioni: aggressive, di contaminazione, sessuali, accumulo/collezione, religiose, con necessità di ordine, simmetria ed esattezza, somatiche, varie (necessità di conoscere e ricordare, di dire, immagini intrusive neutre, di non dire esattamente).

    Compulsioni: di pulizia e lavaggio, calcolo, rituali di ripetizione, riordinamento e/organizzazione, accumulo/collezione, somatiche, varie.

    La persona lotta contro l’impulso ed il pensiero intrusivo (resistenza-psichismo di difesa), consapevole dell’irrazionalità dei suoi pensieri; questa resistenza è variabile, fluttuante da giorno a giorno e se le ossessioni e compulsioni sono molto invasive può anche mancare. L’interferenza con l’adattamento socio-lavorativo è correlata più alla capacità del soggetto di adattarsi alle ossessioni e alle compulsioni che non alla reale gravità sintomatologica. Il grado di consapevolezza di malattia (insight) varia notevolmente da soggetto a soggetto.

    La terapia comportamentale si avvale delle tecniche di esposizione in vivo, di prevenzione della risposta, di arresto del pensiero.

    Nella sua forma più matura la teoria comportamentale prevede che pensieri intrusivi, immagini, e impulsi si associano, attraverso processi di condizionamento classico, con l’ansietà che tende a non estinguersi. La mancata estinzione dipende dai comportamenti di evitamento e prevenzione come sono i rituali di controllo e di lavaggio, che a loro volta si rinforzano grazie al condizionamento operante. La terapia d’esposizione con prevenzione della risposta (ERP) deriva direttamente da questa ipotesi: il paziente è esposto agli stimoli che provocano la risposta ossessiva ed è aiutato a rinunciare ad evitamento e prevenzioni.

  • DISTURBI SESSUALI E DELLA IDENTITA’ DI GENERE

    Disfunzioni sessuali

    Una disfunzione sessuale è caratterizzata da un’anomalia del processo che sottende il ciclo di risposta sessuale, o da dolore associato al rapporto sessuale. Il ciclo di risposta sessuale può essere diviso nelle seguenti fasi: a) desiderio: questa fase consiste in fantasie sull’attività sessuale e nel desiderio di praticare attività sessuale; b) eccitazione: questa fase consiste in una sensazione soggettiva di piacere sessuale e nelle concomitanti modificazioni fisiologiche; c) orgasmo: in questa fase si raggiunge un picco di piacere sessuale, con allentamento della tensione sessuale e contrazioni ritmiche dei muscoli perineali e degli organi riproduttivi; d) risoluzione: dove avviene una sensazione di rilassamento muscolare e di benessere generale. I disturbi della risposta sessuale possono verificarsi in una o più di queste fasi: a) disturbi del desiderio sessuale: distinguere tra il disturbo da desiderio sessuale ipoattivo e il disturbo da avversione sessuale; non frequenti come disturbi isolati, sono più spesso associati ad altre disfunzioni; b) disturbi dell’eccitamento sessuale: parziale incapacità a raggiungere o mantenere, fino a completamento dell’atto sessuale, nell’uomo maschio l’erezione e nella donna la reazione di turgore e di lubrificazione; c) disturbi dell’orgasmo: disturbo dell’orgasmo femminile e disturbo dell’orgasmo maschile, eiaculazione precoce; d) disturbi da dolore sessuale: dispareunia e vaginismo; e) disfunzioni psicosessuali non altrimenti specificate.

    Andrà sempre valutato se la disfunzione sessuale è dovuta ad una condizione medica generale o all’uso di sostanze. Occorre distinguere: a) tipo permanente, se la disfunzione sessuale è presente fin dall’inizio dell’attività sessuale; b) tipo acquisito se la disfunzione si sviluppa solo dopo un periodo di funzionamento normale; c) tipo generalizzato, se la disfunzione non è limitata a certi tipi di stimolazione, di situazioni o di partners; d) tipo situazionale, se la disfunzione è limitata a certi tipi di stimolazione, di situazioni o di partner.

    Parafilie

    Serie di condizioni di eccitamento nei confronti di oggetti o di situazioni erotiche che non rientrano nelle modalità normali di eccitazione o di attività sessuale e che possono interferire a vari livelli sulla capacità di svolgere un’attività sessuale reciprocamente affettuosa (per es., esibizionismo,  travestitismo, pedofilia,  voyerismo, masochismo e sadismo sessuale).

    Disturbo dell’identità di genere

    Si distingue tra: a) disturbo dell’identità di genere della fanciullezza, caratterizzato dal desiderio forte e persistente di essere dell’altro sesso (con esclusione delle condizioni in cui è percepibile la possibilità di ricavare un vantaggio con l’essere dell’altro sesso) e con situazione di marcato disagio per il proprio sesso anatomico; b) transessualismo: vissuti di disagio nei confronti del proprio sesso anatomico, desiderio di sbarazzarsi dei propri genitali (persistenza di tali aspetti per almeno due anni; assenza di anomalie genetiche); c) disturbo dell’identità di genere dell’adolescenza o dell’età adulta, non di tipo transessuale; d) disturbo dell’identità di genere non altrimenti specificato (disturbo dell’identità di genere non classificabile come specifico disturbo dell’identità di genere).

  • DISTURBI SOMATOFORMI

    I disturbi somatoformi sono caratterizzati da sintomi fisici alla base dei quali non è possibile identificare alterazioni somatiche e non riconducibili ad alcun meccanismo fisiopatologico conosciuto. A differenza dei disturbi fittizi e della simulazione i sintomi fisici non sono prodotti intenzionalmente dal paziente, il quale, pertanto, non è in grado di controllarli volontariamente. Insieme ai disturbi dissociativi, fanno parte di ciò che tradizionalmente veniva raccolto in Psichiatria sotto la categoria dell’isteria. Sul piano psicopatologico, mentre ipocondria e dismorfofobia hanno come aspetto preminente un disturbo del pensiero (che si caratterizza di volta in volta per ideazione ossessiva, prevalente o delirante), nella conversione e nella somatizzazione il sintomo somatico appare in primo piano ed il disagio psicologico è deducibile solo in via secondaria.

    Disturbo di somatizzazione

    La caratteristica essenziale è un quadro di ricorrenti lamentele fisiche multiple clinicamente significative. Una lamentela fisica viene considerata clinicamente significativa se porta a trattamento medico (per es. assunzione di farmaci) o se causa significativa menomazione nel funzionamento sociale, lavorativo o in altre importanti aree. Le lamentele fisiche devono iniziare prima dei trent’anni e manifestarsi per almeno due anni.

    La maggior parte dei soggetti con  il disturbo riferiscono la presenza di nausea e di meteorismo. Vomito, diarrea ed intolleranza al cibo sono meno comuni. Le lamentele fisiche multiple non possono essere pienamente spiegate con una condizione medica generale conosciuta o con gli effetti diretti di una sostanza. Se si manifestano in presenza di una condizione medica generale, le lamentele fisiche o la menomazione sociale e lavorativa che ne consegue risultano eccessive rispetto a quanto ci si aspetterebbe dall’esame fisico e dai reperti di laboratorio. Deve esserci una storia di dolore riferito almeno a quattro differenti localizzazioni (per es., testa, addome, schiena, articolazioni, arti, torace, retto) o funzioni (cicli mestruali, rapporti sessuali, minzione). Deve anche esserci una storia di almeno due sintomi gastro-intestinali,  di un sintomo sessuale o riproduttivo, di un sintomo che suggerisca una condizione neurologica che non siano il solo dolore.

    Disturbo di conversione

    Compromissione di funzioni motorie o sensoriali in assenza di un danno obiettivabile dell’apparato neuromuscolare. Si valuta che dei fattori psicologici siano etiologicamente collegati al sintomo, a causa di una relazione temporale tra uno stress psicosociale, che è apparentemente legato a un bisogno o conflitto psicologico, e l’inizio o l’esacerbazione della sintomatologia. Caratteristiche:  a) una perdita o una alterazione del funzionamento fisico, che suggeriscono un disturbo organico (p.e. paralisi, paresi, anestesie, cecità, atassie che sembrano mimare lesioni di vie nervose motorie o sensoriali, attacchi similepilettici); b) il soggetto non appare consapevole di produrre intenzionalmente il sintomo; c) il sintomo non rappresenta una modalità di reazione culturalmente sancita, e non può, dopo gli accertamenti appropriati, essere spiegato con un disturbo fisico noto; d) il sintomo è causa di stress e comporta una significativa compromissione in ambito sociale, lavorativo, o in altre importanti aree funzionali; e) la sintomatologia non è limitata al dolore o ad alterazioni del funzionamento sessuale. Il concetto di disturbo di conversione si basa dunque su due elementi: l’ipotesi teorica della conversione, che si fonda sul principio psicoanalitico che una quantità di sofferenza psico-emotiva o di elementi conflittuali si traducono in espressioni patologiche somatiche, indipendentemente dalla compromissione degli organi o dei sistemi sottogiacenti; e che l’espressione somatica viene in qualche modo utilizzata nell’equilibrio psichico generale del paziente per qualche scopo più o meno profondo, e certamente inconscio. E’ quindi una categoria diagnostica che individua, al di sotto di una grande varietà di sintomi, una unità di stile, espressione e meccanismo psicopatologici. Solo recentemente sono stati fatti tentativi per individuare alterazioni neurofisiologiche specifiche. I pazienti hanno la tendenza a descrivere i propri disturbi secondo modalità drammatiche ed elaborate, anche se non si mostrano eccessivamente preoccupati. Il decorso è del tutto imprevedibile, anche se le manifestazioni di conversione tendono in genere ad avere un carattere transitorio; per questa transitorietà non necessitano in genere di trattamento anche se il riconoscimento dei sintomi e dei fattori di stress psicosociale, che spesso ne determinano l’insorgenza, è di fondamentale importanza per impedire la cronicizzazione e la conseguente compromissione funzionale.

    Disturbo algico

    Disturbo in cui l’alterazione predominante è rappresentata da un dolore grave e prolungato (almeno 6 mesi) per il quale non si trova una patologia organica o meccanismo fisiopatologico possibilmente responsabili del dolore. Quando vi è qualche patologia organica collegata, le lamentele per il dolore, o la menomazione sociale o lavorativa conseguenti, appaiono grossolanamente eccessive rispetto a quanto ci si potrebbe aspettare in base ai reperti fisici. Trattasi, dunque, di pazienti con una sintomatologia dolorosa cronica che non risulta causata da nessuno specifico disturbo fisico o mentale. Si valuta che fattori psicologici giochino un ruolo significativo sull’esordio, il grado di gravità, l’esacerbazione o il mantenimento del dolore.

    Ipocondria

    Stato di preoccupazione, accompagnato dalla paura o dalla convinzione di avere una grave malattia, basato su una interpretazione personale di sintomi fisici o di sensazioni come prova di una malattia organica. Un appropriato esame clinico esclude la presenza di disturbi fisici possibilmente responsabili dei sintomi e della sensazioni riportati dal malato. La definizione esclude i pazienti affetti da disturbo da attacco di panico o da sintomatologia delirante, e richiede una durata di almeno 6 mesi. Più comunemente i sintomi riguardano gli apparati gastrointestinale e cardiovascolare, e sono costituiti da dolore. Il convincimento non appare rigido (fisso) come un delirio, e nemmeno risulta inaccettabile sul piano culturale. Ansietà, depressione e tratti compulsivi di personalità sono comunemente associati all’ipocondria. L’esordio di solito è nell’adolescenza, il decorso generalmente cronico con fluttuazioni di intensità.

    Disturbo di dimorfismo corporeo (dismorfofobia)

    Preoccupazione per qualche difetto immaginario dell’aspetto fisico, in una persona dall’aspetto normale. Se è presente una lieve anomalia fisica, la preoccupazione del soggetto appare chiaramente eccessiva. Deve essere assente anoressia o transessualismo. Il più delle volte le lamentele riguardano il viso, il naso, le orecchie, la bocca, il seno, le natiche o i genitali. La preoccupazione deve causare disagio significativo e menomazione nel funzionamento sociale, lavorativo e/o in altre aree importanti.

    Disturbo somatoforme non altrimenti specificato

    Categoria residua per quei casi che pur presentando un disturbo di tipo somatoforme non soddisfano i criteri richiesti per uno di questi.

  • DISTURBI DISSOCIATIVI

    La caratteristica comune dei disturbi dissociativi è la modificazione temporanea e improvvisa delle normali funzioni integrative della persona; insieme ai disturbi somatoformi costituivano la “grande famiglia” dell’isteria.

    Disturbo dissociativo dell’identità (precedentemente disturbo da personalità multipla)

    Presenza di una o più personalità (oltre l’ordinaria) ciascuna delle quali possiede valori e comportamenti diversi dalle altre e dalla personalità originaria, e ciascuna con vari gradi di amnesia e di disinteresse verso le altre. In genere la personalità originaria è timida, introversa, dolce, incapace di grandi passioni quali collera o attrazione sessuale. Le sub personalità, al contrario, hanno caratteristiche differenti e talora opposte ma la personalità originaria non ha coscienza o consapevolezza delle sub personalità, mentre ciascuna subpersonalità può avere una consapevolezza variabile delle altre subpersonalità. All’anamnesi è presente una storia di abusi subiti nell’infanzia. In ciascun momento prevarrà una sola e specifica personalità che interagirà con l’ambiente e provocherà il comportamento. Il passaggio da una personalità all’altra è spesso improvviso, più raramente graduale. Il disturbo compare più spesso nell’infanzia e nell’adolescenza, più frequentemente nelle donne. Il decorso è tendenzialmente cronico con compromissione sul piano socio-lavorativo e familiare. I risultati terapeutici migliori si sono avuti fino ad ora con la psicoterapia a lungo termine.

    Fuga dissociativa

    Allontanamento improvviso e immotivato dal proprio ambiente abituale (casa, lavoro) associato ad un’alterazione dello stato di coscienza per cui il soggetto non ricorda nulla della propria identità precedente e ne assume una completamente nuova. L’età di insorgenza è estremamente variabile. E’ spesso conseguente a stress psicologici, quali conflitti coniugali, situazioni di rifiuto, ecc. La durata è variabile, da poche ore a molti mesi. Tratti di tipo isterico (egocentrismo, immaturità, iperdipendenza) caratterizzano la personalità premorbosa di questi soggetti.

    Amnesia dissociativa

    Improvvisa incapacità a ricordare eventi o notizie importanti per il soggetto. L’amnesia può essere “circoscritta” a tutti gli eventi verificatisi in uno specifico periodo di tempo, “selettiva” per determinati eventi accaduti in un certo periodo di tempo, “generalizzata”, “continuativa” (cioè estendersi da un certo periodo della vita fino al presente). Più frequente fra i giovani, soprattutto le donne. Può essere scatenata da numerosi eventi stressanti; la durata è variabile, la remissione in genere completa.

    Disturbo di depersonalizzazione

    Caratterizzato da: a) sensazione soggettiva di irrealtà, di estraneità di se stessi (depersonalizzazione psichica), del proprio corpo (depersonalizzazione fisica), del mondo circostante (derealizzazione); b) tale sensazione è spiacevole e dolorosa; c) l’esame di realtà è integro; d) riduzione degli affetti con grande ansia nei riguardi delle sensazioni di estraneità. Completano il quadro fenomeni di deja-vu, attacchi di panico, depressione, ruminazioni ossessive, tendenza all’autoanalisi, alterazioni anestesiche o parestesiche in genere relative agli arti, che sembrano cambiare le loro proporzioni. Compare di solito nell’adolescenza, soprattutto nel sesso femminile, esordendo in modo acuto a seguito di fattori precipitanti come affaticamento, convalescenza, dolore fisico, privazione sensoriale, privazione di sonno, uso di allucinogeni, esperienze fisicamente o emotivamente traumatiche. La durata di ogni singola crisi può variare notevolmente da pochi minuti a più giorni consecutivi.

  • DISTURBI DELL'UMORE

    Depressione

    Si caratterizza soprattutto per l’anedonia: tutto appare senza rilievo, tutto è indifferente, anche quello che prima era fonte di gioia e di soddisfazione. Ci sono poi tristezza profonda, disperazione, sgomento, scoraggiamento, dolore psichico. La depressione può manifestarsi con agitazione, ma il rallentamento psicomotorio è considerato uno dei sintomi più specifici, che si evidenzia sia con una riduzione dei movimenti spontanei sia con un irrigidimento della mimica (che può configurare una facies dolorosamente inespressiva). Il depresso è afflitto da un profondo senso di stanchezza; il linguaggio è meno fluido, il corso del pensiero è rallentato con frequente ruminazione dolorosa, rigidamente ancorata a pochi temi. Il rallentamento delle funzioni psichiche superiori può essere così marcato da provocare disturbi della memoria o difficoltà di concentrazione. Sintomi cognitivi: visione negativa di ogni cosa (se stesso, il mondo, il futuro); incessante ruminazione sui propri errori e sulle proprie colpe (il contenuto del pensiero può assumere toni deliranti di colpa e di rovina e accompagnarsi a fenomeni dispercettivi); ricorrenti idee di morte, suicidio. Si ha decremento della spinta sessuale e della libido. E’ frequente la riduzione dell’appetito, ma può essere presente iperfagia con aumento di peso. I disturbi del sonno sono frequenti e l’insonnia, una delle principali manifestazioni della depressione, si caratterizza per i numerosi risvegli soprattutto nelle prime ore al mattino. In alcuni casi si ha aumento delle ore di sonno fino a una vera e propria ipersonnia.

    Distimia

    E’ un disturbo depressivo cronico. Per fare diagnosi di distimia occorre che i sintomi siano presenti da almeno due anni. Questo disturbo è caratterizzato da sintomi depressivi più attenuati rispetto alla depressione e comporta una minore compromissione delle relazioni sociali e delle attività lavorative. Sintomi: insonnia o ipersonnia, scarso appetito o iperfagia; difficoltà di concentrazione; sconforto, pessimismo, tristezza; affaticabilità e scarsa energia; bassa autostima, sentimenti di inadeguatezza e autosvalutazione; difficoltà di prendere le decisioni. Solitamente questi sintomi non sono presenti contemporaneamente ma è sufficiente che ce ne siano solo due.

    Mania

    Caratterizzata da un aumento dell’attività, incapacità a sostare, logorrea, fuga delle idee, esagerata autostima, esaltazione dell’umore, accelerazione delle idee (ideorrea), eccitamento motorio. L’umore è elevato, euforico, gioioso e può non essere stabile, alternandosi a brevi oscillazioni in senso depressivo. Caratteristiche di base possono essere irritabilità e disforia. Sintomi psicomotori: aumento dell’attività e dei livelli di energia, il soggetto è spesso impulsivo, disinibito, invadente. Sintomi cognitivi: aumentata stima di sé, sentimenti di totidisponibilità e di totipossibilità; possono comparire vere e proprie strutturazioni deliranti (deliri di grandezza, di riferimento, di percezione) con allucinazioni e incoerenza. Sintomi vegetativi: ridotto bisogno di sonno, talvolta aumento dell’attività sessuale, possibile perdita di peso per l’attività continua.

    Ipomania

    Costituisce uno stato, della durata di almeno qualche giorno, caratterizzato da modica elevazione del tono dell’umore, chiarezza e positività dei pensieri, incremento delle energie e dell’attività senza però la compromissione socio-lavorativa caratteristica della fase maniacale. Il soggetto appare particolarmente allegro, vivace, assertivo, mostra una grande sicurezza in se stesso, risulta instancabile e con una limitata necessità di riposo e di sonno. Abitualmente vi è distraibilità ed il giudizio di realtà è solo parzialmente compromesso. Come nella mania, l’umore euforico rappresenta una condizione instabile ed è frequente l’improvvisa comparsa di irritabilità o aggressività, soprattutto se il soggetto si sente contrariato. A volte la sensazione di attivazione può essere così intensa da risultare spiacevole per cui il soggetto può ricorrere all’assunzione di alcol o farmaci a scopo autoterapeutico. Questo complica il quadro psicopatologico ed ha conseguenze negative sul piano familiare, sociale e lavorativo.

    Stato misto

    Quadro clinico caratterizzato dalla presenza contemporanea di sintomi di opposta polarità. Aspetti caratteristici, quali labilità emotiva, eccitabilità, tensione, ansia ed agitazione, possono associarsi di volta in volta a manifestazioni meno costanti, quali confusione, impulsività e sintomi psicotici con contenuti ideativi e percettivi di opposta coloritura affettiva. In questo modo viene a prodursi una grande varietà di quadri clinici che possono assumere le forme più disparate. Triade caratteristica: a) irritabilità-rabbia; b) agitazione psicomotoria; c) insonnia grave. Gli stati misti di più comune riscontro si caratterizzano per la forte ansia, la logorrea, il desiderio e le idee di morte, la disforia.

    Bipolare

    “La mania è il fuoco della malattia bipolare, la depressione è la cenere” (A. Koukopoulos). Nei cosiddetti bipolari I si ha la presenza di episodi maggiori di entrambe le polarità, depressiva e maniacale. La distribuzione è uguale tra i sessi, età di insorgenza giovanile, pesante familiarità per i disturbi affettivi, tendenza alla ricorrenza ed allo sviluppo di ipomania durante il trattamento con antidepressivi. Caratteristiche comuni ai bipolari sono l’instabilità lavorativa, geografica e sentimentale. Sul piano trasversale la sintomatologia depressiva non mostra peculiari caratteristiche, eccetto la tendenza a presentare più spesso sintomi come ipersonnia e iperfagia.  Lo stato maniacale può assumere aspetti fenomenici diversi: mania euforica, mania disforica, mania eccitata-furiosa, mania confusa, mania delirante. Il numero di episodi è variabile da paziente a paziente con ampie oscillazioni. La durata del ciclo può variare nei diversi pazienti da pochi giorni  a settimane o mesi. In genere, nel decorso spontaneo, gli episodi hanno una durata abbastanza costante (mediamente 3-4 mesi per la mania, 4-6 mesi per la depressione). La proporzione relativa di ognuna delle fasi varia da malato a malato; il numero degli episodi maniacali generalmente è nettamente inferiore a quelli depressivi (più frequenti fra i 20 e i 40 anni, dopo questa età la loro percentuale diminuisce progressivamente). Tipi di ciclo: 1) mania-depressione-intervallo; 2) depressione-mania-intervallo; 3) irregolare; 4) circolare continuo a lunghi cicli; 5) circolare continuo a rapidi cicli. La definizione di rapidi-cicli (13-20% dei bipolari) è riservata a quei pazienti in cui sono presenti almeno 4 episodi all’anno; la depressione in questi pazienti è generalmente molto grave con sintomi ansiosi ed inibizione.

    Nelle forme bipolari II la depressione maggiore è alternata a periodi di ipomania spontanea o indotta farmacologicamente. E’ importante distinguere lo switch ipomaniacale dall’iperstimolazione da triciclici; questa si caratterizza per i fenomeni neurovegetativi (irrequietezza, palpitazioni, sudorazione).

  • DISTURBI DELLO SPETTRO SCHIZOFRENICO

      Schizofrenia

    Malattia mentale caratterizzata da evoluzione cronica, deterioramento della personalità, sintomi psicotici (deliri, allucinazioni, catatonia, disordini ideativi) almeno in alcune fasi del decorso. Le cause del disturbo sono presumibilmente eterogenee, di peso diverso, con possibili effetti interattivi. di sommazione.

    Le manifestazioni cliniche sono molteplici e mutevoli nel tempo. Tratto fondamentale della malattia è la perdita dell’unità interna delle attività intellettive, emotive e volitive. Caratteristiche sono considerate la presenza di allucinazioni, il disturbo delle associazioni ideative, l’ottundimento emotivo. Questi sintomi sono preceduti, accompagnati o seguiti da alterazioni comportamentali: chiusura ai rapporti sociali e alla comunicazione, deterioramento delle capacità di funzionare a livello familiare, scolastico o lavorativo, perdita dell’interesse per l’immagine di sé. L’età di massima incidenza è fra i 14 e i 24 anni. L’esordio è talora subdolo e insidioso. Si distinguono cinque forme cliniche: 1) tipo disorganizzato, caratterizzato da dissociazione ideativa, disturbi dell’affettività (affettività appiattita o grossolanamente inadeguata), deliri frammentari e non organizzati, comportamento grossolanamente disorganizzato; 2) tipo catatonico, con almeno uno dei sintomi della serie catatonica (stupore, negativismo, rigidità, eccitamento, posture inadeguate e bizzarre) ed ecolalia o ecoprassia; 3) tipo paranoideo, con deliri, di tipo persecutorio e allucinazioni prevalentemente di tipo uditivo; 4) tipo residuo, con sintomi negativi (anaffettività, deterioramento del funzionamento socio-lavorativo, chiusura nei rapporti sociali) e il dato anamnestico di sintomi produttivi (deliri, allucinazioni); 5) tipo indifferenziato, categoria di riserva per le forme non inseribili nei quadri precedenti.

    Il decorso è variabile, ma quasi sempre si distinguono 3 fasi: fase prodromica, con netto anche se progressivo cambiamento del paziente il cui comportamento contrasta con quello tenuto in precedenza (nel 70% dei casi i sintomi negativi precedono quelli positivi); fase attiva con i sintomi tipici della malattia; fase residua con caratteristiche simili alla fase prodromica. Sintomi positivi: allucinazioni; deliri; disturbo formale positivo del pensiero (deragliamento, tangenzialità, incoerenza, illogicità, circostanzialità); comportamento bizzarro.

    Sintomi negativi: appiattimento od ottundimento affettivo; alogia (povertà dell’eloquio, povertà di contenuto dell’eloquio, blocco, aumento di latenza di risposta); assenza di volizione-apatia; anedonia-asocialità; compromissione dell’attenzione.

    Terapia: la terapia della schizofrenia è basata sui neurolettici (importanti soprattutto nelle manifestazioni produttive della malattia) e su particolari forme di intervento psicologico e psicosociale (importanti nelle forme non produttive e croniche).

    Disturbo schizoaffettivo

    Contemporanea presenza di sintomi di tipo affettivo e di sintomi di tipo schizofrenico. Si distinguono un disordine schizomaniacale e un disordine schizodepressivo a seconda della polarità della componente affettiva. Disordine schizomaniacale, con presenza di: a) umore elevato o irritabile; b) almeno tre dei seguenti sintomi: iperattività, logorrea, fuga delle idee, grandiosità, diminuito bisogno di sonno, distraibilità, coinvolgimento in attività comportanti un rischio elevato di conseguenze spiacevoli; c) almeno uno dei seguenti sintomi: deliri di influenzamento oppure esperienze di diffusione, inserzione o furto del pensiero; allucinazioni di qualunque tipo durante l’intera giornata per più giorni o intermittentemente per una settimana, il cui contenuto non sia chiaramente riconducibile all’alterazione del tono dell’umore; allucinazioni uditive consistenti in voci che conversano tra loro; presenza di deliri o allucinazioni per più di una settimana in assenza di sintomi affettivi; presenza per più di una settimana di disturbi formali del pensiero in assenza di sintomi affettivi. 2) Disordine schizodepressivo, con presenza di: a) depressione del tono dell’umore preminente e relativamente persistente; b) almeno cinque dei seguenti sintomi: diminuzione o aumento dell’appetito o del peso, ipersonnia o insonnia, perdita di energia o affaticabilità, rallentamento o agitazione psicomotoria, perdita di interesse o piacere per le attività abituali, sentimenti di autodenigrazione o colpa eccessiva, lamentele o segni di diminuita capacità di riflettere o concentrarsi, pensieri ricorrenti di morte o suicidio; c) come nel disordine schizomaniacale.

    Disturbo schizofreniforme e psicosi reattiva breve

    Il disturbo schizofreniforme, si presenta con le caratteristiche della schizofrenia (risponde agli stessi criteri diagnostici), ma ha durata da 1 a 6 mesi (la schizofrenia deve durare almeno 6 mesi); nella maggior parte dei casi si ha restitutio ad integrum; l’esordio è acuto, rapido, violento, senza sintomi prodromici. La psicosi reattiva breve (detta anche schizofrenia acuta) è una reazione a eventi particolarmente stressanti su soggetti predisposti. E’ caratterizzata da comportamento disorganizzato, talora bizzarro, con deliri allucinazioni, di durata non maggiore di un  mese.  Non frequente, normalmente ha una remissione pressoché completa.

    Disturbo delirante (paranoide)

    La caratteristica essenziale di questo disturbo è la presenza di un delirio stabile, non bizzarro, non dovuto ad alcun altro disturbo mentale, quali schizofrenia, disturbo schizofreniforme o disturbi dell’umore. La diagnosi è posta solo quando non si possa dimostrare che un fattore organico abbia causato e mantenuto il disturbo. I seguenti temi deliranti sono di comune riscontro nel disturbo: a) erotomanico, convinzione di essere amato da qualcun altro (generalmente il delirio concerne l’amore romantico idealizzato e l’unione spirituale piuttosto che l’attrazione sessuale); b) di grandiosità, convinzione di possedere qualche grande, ma non riconosciuto, talento o capacità intuitiva (oppure di avere fatto importanti scoperte); c) di gelosia, il soggetto è convinto, senza causa fondata, che il coniuge o il partner gli sia infedele; d) di persecuzione, è il tipo più comune. I deliri persecutori possono essere semplici o elaborati e generalmente riguardano un singolo tema o una serie di temi connessi (per es., essere vittima di una cospirazione, ingannato, spiato, seguito,  avvelenato o drogato, calunniato, molestato, od ostacolato nel perseguimento di progetti a lungo termine); e) somatico, che si manifesta in diverse forme (per es., convinzione di emettere odore cattivo dal corpo, di avere la pelle infestata di insetti, di avere un parassita interno, di avere, contrariamente all’evidenza, parti del corpo deformi e turpi, o non funzionanti).

    Disturbo psicotico condiviso (Folie à deux)

    Sistema delirante che si sviluppa in una seconda persona in seguito ad una relazione stretta con un individuo affetto da un disturbo psicotico con deliri rilevanti; questi sono condivisi, almeno in parte, da entrambi i soggetti.

  • DISTURBI DI PERSONALITA'

    “La validità della maggior parte delle diagnosi psichiatriche non è stata ancora dimostrata. Esse si basano sostanzialmente su criteri descrittivi e sul giudizio clinico” (Myrna Weissman, 1995).

    Si può parlare di disturbo di personalità quando i tratti della personalità sono rigidi e non adattivi e quindi causano una significativa compromissione del funzionamento sociale e lavorativo oppure una sofferenza soggettiva. La caratteristica del disturbo di personalità è, quindi, la rigidità del modo di percepire, rapportarsi e pensare nei confronti dell’ambiente, degli altri e di se stessi. L’essenza del disturbo non è tanto il modo di costruire la realtà quanto la sua immodificabilità.

    Possiamo dividere i disturbi di personalità in tre gruppi o cluster, ciascuno organizzato intorno a specifiche caratteristiche:

    odd-eccentric cluster (gruppo A): comportamento strano ed eccentrico, associato ad una marcata indifferenza per le relazioni sociali (rinuncia ad esperienze di condivisione e consensualità, fidando solo sulle proprie coordinate);

    dramatic cluster (gruppo B): comportamento impulsivo e drammatico;

    anxious cluster (gruppo C): comportamento ansioso e insicuro.

    Oltre a questi 3 gruppi, altri disturbi di personalità vengono proposti: il disturbo depressivo di personalità, il disturbo passivo-aggressivo di personalità.

    Odd-eccentric cluster

    1) Disturbo schizoide di personalità: caratterizzato da una marcata indifferenza per le relazioni sociali ed una povertà esperienziale e nelle espressioni emotive. L’individuo ha rapporti interpersonali compromessi, non prova piacere ad avere relazioni strette. Appare distaccato e freddo, non ha amici stretti e preferisce attività solitarie. L’indifferenza è alla base del vissuto emotivo.

    2) Disturbo schizotipico di personalità: oltre alla compromissione dei rapporti interpersonali, si ha eccentricità nell’aspetto, nel comportamento, nell’ideazione, nelle percezioni. Questo disturbo sembra porsi in diretta continuità con il disturbo schizoide, rispetto al quale appare come una forma più grave.

    3) Disturbo paranoide di personalità: caratterizzato prevalentemente dalla tendenza immotivata ad interpretare il comportamento degli altri come deliberatamente minaccioso ed umiliante nei propri confronti. L’altro viene considerato ostile senza che gli venga data alcuna possibilità di dimostrare il contrario. Qualsiasi gesto, sia pur esso amichevole o di comprensione, viene reinterpretato nell’ottica del sospetto e della sfiducia totale. Il soggetto è irascibile in modo pervasivo e serba a lungo rancore per i “torti” subiti.

    Dramatic cluster

    1) Disturbo di personalità borderline: aspetti clinici:

    – tentativi frenetici di evitare l’abbandono (ci si aggrappa disperatamente alle persone con le quali si ha un rapporto significativo). Un esempio di ciò sono i tentativi di suicidio manipolativi, tesi a prevenire o a protestare contro una sensazione di minaccia di abbandono;

    – relazioni interpersonali intense ed instabili. Una della caratteristiche di chi soffre di questo disturbo è di essere stabile nella propria instabilità. L’instabilità e l’intensità delle relazioni interpersonali costituiscono uno dei motivi principali per cui la persona può richiedere un trattamento, ma è anche uno dei motivi principali per cui  può risultare difficile da trattare;

    – disturbo d’identità: spesso l’immagine che la persona ha di sé, dei suoi obiettivi e delle sue preferenze interne, comprese quelle sessuali, è poco chiara o alterata;

    – impulsività: abuso di sostanze, promiscuità, anomalie della vita sessuale, abbuffate alimentari;

    – instabilità affettiva: l’umore di base è spesso caratterizzato da episodi di rabbia, panico o disperazione. La rabbia è inappropriata, intensa e/o incontrollata (una vasta gamma di manifestazioni di rabbia, incluso il sarcasmo, il rancore duraturo, gli scoppi di collera e le aggressioni fisiche);

    –  sentimenti cronici di vuoto, con sensazioni di nullità e di mancanza di significato esistenziale.

    2) Disturbo istrionico  di personalità: caratterizzato da emotività eccessiva, marcati atteggiamenti seduttivi, egocentrismo, dipendenza, comportamenti sessualmente provocanti. Vi è un utilizzo costante dell’aspetto fisico per attirare l’attenzione su di sé. Lo stile dell’eloquio è eccessivamente impressionistico e privo di dettagli. Le relazioni vengono considerate più intime di quanto lo siano realmente. La personalità istrionica spesso appare affettata o teatrale. I rapporti interpersonali sono conflittuali in quanto il soggetto cerca di soddisfare con essi il suo marcato egocentrismo e, per essere al centro dell’attenzione, manipola persone e situazioni. Al venir meno dell’accoglienza sociale, il soggetto prova forti sentimenti di inadeguatezza ed inferiorità, insieme al terrore di essere rifiutato. Può quindi ricercare rassicurazioni ed apprezzamenti attraverso i suoi atteggiamenti seduttivi e, se non basta, può ricorrere a minacce o ricatti.

    3) Disturbo narcisistico di personalità: alla base c’è un senso grandioso della propria importanza ed unicità. La persona si sente speciale, si aspetta di essere notato da tutti e che solo persone speciali come lui possono capirlo. Vi è un incessante bisogno di alimentare l’autostima mediante fantasie grandiose (di successo, fascino, potere, bellezza, amore ideale), ambizioni esagerate, esibizionismo, sensazione che tutto sia dovuto. Mentre l’istrionico cerca di illudersi di essere straordinario ma sa di non esserlo, il narcisista ne è assolutamente convinto. Ciò che accomuna i due è la manipolazione degli altri e della realtà per soddisfare i propri bisogni. Chi soffre di un disturbo narcisistico reagisce alle critiche con sentimenti di rabbia, vergogna ed umiliazione. Ha difficoltà a provare empatia e comprensione per gli altri i cui sentimenti spesso gli appaiono del tutto incomprensibili e fuori luogo. L’altro viene idealizzato finché soddisfa il proprio bisogno di gratificazione altrimenti viene pesantemente svalutato.

    4) Disturbo di personalità antisociale: caratterizzato da fascino superficiale e mancanza di sincerità. Privo di regole morali, il soggetto non sperimenta senso di colpa o di rimorso e tende ad attribuire agli altri l’origine dei suoi problemi, senza assumersi alcuna responsabilità.  Comportamento antisociale inadeguatamente motivato.

    Anxious cluster

    1) Disturbo evitante di personalità: è caratterizzato da una modalità pervasiva di disagio sociale, di timore del giudizio negativo e di timidezza. Chi soffre di questo disturbo risente, con grande sofferenza, della critica e della disapprovazione altrui, dimostra ipersensibilità al rifiuto, paura di essere imbarazzato, desiderio di accettazione incondizionata, eccessiva preoccupazione di fare brutta figura. Ogni situazione sociale rappresenta quindi un evento stressante. L’altro assume una grande importanza come validatore della propria identità e viene vissuto come un giudice pericolosissimo da cui fuggire.

    2) Disturbo di personalità dipendente: comportamento dipendente e sottomesso, come quello di un bambino piccolo nei confronti del genitore, determinato dalla paura di essere abbandonati (i soggetti lasciano agli altri le decisioni, difficilmente iniziano o completano un compito da soli, ecc.). Queste persone, quando sono sole,  vivono nella preoccupazione che avvenga qualcosa di catastrofico, che non saranno in grado di affrontare. Ritengono quindi di avere costante bisogno di qualcuno che li protegga, li guidi, li sostenga. Il comportamento interpersonale è orientato all’accondiscendenza, al compiacimento, alla generosità anche a costo di fare cose spiacevoli o umilianti e ciò al solo fine di mantenere una salda prossimità e protezione da parte degli altri. La paura più grande è la possibile solitudine e la contromisura consiste nell’evitare qualsiasi contrasto con gli altri.

    3) Disturbo di personalità ossessivo-compulsivo: si tratta di soggetti rigidi e perfezionisti al punto che questi tratti interferiscono con un adeguato funzionamento. Eccessivamente preoccupati per i dettagli, le regole, l’ordine, l’organizzazione finiscono per perdere di vista l’obiettivo finale dell’azione. Le persone che soffrono di questa patologia cercano in tutti i modi di essere perfette, lavorando indefessamente e rinunciano agli svaghi. In qualsiasi situazione si sforzano di fare le cose nel modo migliore, cosa che però può portarle a non combinare nulla in quanto attanagliate da continui dubbi su ciò che sia più opportuno. Si mostrano inoltre eccessivamente scrupolose ed inflessibili in campo etico e morale. L’affettività è coartata, spesso hanno difficoltà a mostrare slanci e generosità verso gli altri che invece vorrebbero costringere a fare le cose come vogliono loro, ritenendolo l’unico modo esatto e giusto. Hanno pochi interessi in quanto occuparsi di poche cose, in modo specialistico, garantisce meglio il raggiungimento degli standard perfezionistici. In questo disturbo la paura del giudizio è non solo da parte degli altri ma soprattutto di se stessi. La contromisura consiste quindi nell’evitamento di ogni possibile critica o incrinatura, ricercando anche qui la perfezione assoluta.

    Altri disturbi

    1) Disturbo passivo–aggressivo di personalità: comportamento passivo od ostruttivo più per resistere alle richieste di adeguate prestazioni che per affermare la propria volontà; dipendenza, mancanza di fiducia nelle proprie capacità. La persona tende a rimandare, dimenticare, diventa polemica, critica le persone che occupano posizioni di autorità.

    2) Disturbo depressivo di personalità: l’umore abituale è dominato da abbattimento, malinconia, mancanza di gioia e felicità. L’idea di sé ruota intorno a convinzioni di inadeguatezza, scarso valore, bassa autostima. Il soggetto è critico, accusa e denigra se stesso. Spesso pessimista, è incline ai sentimenti di colpa e di rimorso e tende a giudicare male gli altri.